Nella valutazione psichiatrica dell’età senile, di quello cioè che viene comunemente chiamato invecchiamento, possono essere adottati sostanzialmente due punti di vista. Il primo considera l’invecchiamento come fatto fisiologico, legato ad una condizione di minorazione fisica e psichica, e quindi risolve in qualche modo il problema considerando i problemi dell’adattamento nell’età senile come conseguenza inevitabile di un fatto fisiologico.
Il secondo punto di vista, invece, arricchisce questa valutazione attribuendo nuove caratteristiche e nuovi connotati umanistici, antropologici, filosofici psicologici ed esistenziali a questa fase della vita. Queste due visioni dello stesso problema possono essere esemplificate come psicologia nomotetica la prima, come psicologia idiografica la seconda (Barucci). Adottando il secondo punto di vista (ideografico), è ovvio che le valutazioni dei problemi psicologici e psichiatrici che caratterizzano l’età senile devono essere profondamente diverse. Se dal punto di vista di una psicologia nomotetica, i problemi psichiatrici dell’anziano sono la conseguenza quasi obbligata di un deterioramento di strutture e quindi di funzioni più o meno specifiche che producono un cambiamento nel soggetto, dal punto di vista di una psicologia idiografica va tenuto presente che insieme al cambiamento del soggetto vi è un cambiamento nell’ambiente: non cambia solo chi invecchia, ma cambia anche il contesto, l’ambiente, la prospettiva, in un continuum che non può essere sottovalutato. A tale continuum appartengono ovviamente anche le personalità, nel senso che i tratti, i caratteri, le tendenze individuali vengono amplificate in un momento della vita che, oltre ad assumere un significato simbolico specifico, è anche caratterizzato da un cambiamento reale nel funzionamento delle strutture cerebrali e ad una modificazione delle funzioni psicologiche.
Si comprende bene, allora, come l’adattamento della persona in età senile sia di particolare rilevanza, oscillando tra la psicologia di una specifica fase della vita e il tratto psicopatologico. Molte situazioni tipiche dell’età senile, infatti, sono epifenomeno del divenire individuale, e non possono essere se non riconsiderate nel contesto di una lettura psicologica dell’invecchiamento.
Se ciò rappresenta uno dei ‘confini’ del problema, l’altro è sicuramente rappresentato dalla psicopatologia, che può essere letta e discussa in due differenti accezioni: da un lato l’eventuale presenza di psicopatologia individuale, che la situazione esistenziale della senilità incrementa e potenzia, rilanciandola sul versante clinico; dall’altro l’insorgenza di tratti psicopatologici specifici della senilità, o in certo qual modo caratteristici di tale fase della vita.
Tra questi due confini, psicopatologia individuale e condizionamenti socio-psicologici propri dell’invecchiamento, esitano un gran numero di situazioni, più o meno specifiche, più o meno chiare, transitorie o permanenti, esplosive o croniche. E’ in questa terra di confine che va trovata la chiave di lettura più opportuna del rapporto tra personalità e adattamento in età senile.
Quando parliamo di adattamento nell’età senile è ovvio che ci confrontiamo con un problema assai simile a quello rilevato nell’adolescenza: la necessità cioè di reagire ai cambiamenti, di una riorganizzazione personale, sociale, relazionale che è resa indispensabile dalla fase dell’esperienza vitale vissuta dall’anziano. Questo significa, per esempio, far fronte alla necessità di una integrazione delle perdite subite col tempo sul piano affettivo e interindividuale, mettere in atto una riorganizzazione del proprio esistere, in qualche modo del proprio ‘essere nel mondo’, in un contesto che tende all’impoverimento affettivo, esperire una ristrutturazione delle proprie esigenze individuali anche in base all’attesa sociale, e al paradigma imperante sulla vecchiaia.
Di certo, viviamo in una società che sinora non sempre ha prestato la dovuta attenzione al problema della senilità: l’orientamento produttivistico, l’utilitarismo eretto a valore etico, l’enfatizzazione delle performances come modalità di recupero e affermazione della propria identità, non appaiono particolarmente favorevoli alla riorganizzazione psicologica dell’anziano, al quale peraltro è stato anche tolto il privilegio antico di avere un posto ed un ruolo sociale importante: quello di saggio, di consigliere, di testimonianza vivente di una esperienza biografica che poteva essere utilizzata come chiave di lettura ed interpretazione di altre esperienze. Allora, la necessità di un adattamento spesso è ostacolata da obiettivi modelli sociali e relazionali, il che significa che proprio in questo sforzo di adattamento l’anziano rischia l’evento psicopatologico. D’altra parte, come accennavamo più sopra, la terra di confine tra psicologia e psicopatologia è estremamente vaga, difficilmente demarcabile, per cui la distinzione tra eventi puramente psicologici ed eventi psicopatologici è spesso assai sfumata.
Proprio la caratteristica sfumata della psicopatologia francamente connessa alla senilità può porsi al centro di una riflessione sulla esistenza stessa di una psicopatologia senile in quanto tale. Certo, adottando un criterio di valutazione biologistico, è difficile sfuggire alla tentazione di una equazione tra invecchiamento, deficit funzionali delle strutture cerebrali, e maggiore predisposizione alla psicopatologia. Ma da un punto di vista più globale, più ‘olistico’, ci si rende conto che una simile valutazione è perlomeno azzardata. E’ vero infatti che nell’età senile è possibile evidenziare quadri clinici specifici (dalla depressione maggiore, alla psicosi), ma questo è tipico di tutte le fasi della vita, e non si rilevano particolari predisposizioni dovute all’età senile in se. Certo, è chiaro che attraversando l’anziano un periodo di delicato rimodellamento egli è esposto a rischi per la salute mentale, ma è chiaro che essi sembrano delineare un quadro quanto mai sfumato, e non una correlazione di causa ed effetto. Da questo punto di vista appare importante una valutazione della colonna centrale della psicopatologia cosiddetta senile, che è la depressione.
Non pare poi esserci una relazione di causa ed effetto così rilevante e così marcata, e più che di depressione è forse assai spesso il caso di parlare di quadri di natura ipotimica, di risposte ad eventi esistenziali, di risposta, appunto ad uno sforzo di adattamento.
E’ in questo senso che possono per esempio essere riletti anche dati epidemiologici che vogliono che la terza età sia associata a un maggior numero di sintomatologia depressiva.
In questo contesto si inserisce certamente anche il problema, tuttora dibattuto, della comorbidità tra ansia e depressione nella popolazione generale. D’altra parte, esistono buone evidenze che almeno nell’85 % dei casi ansia e depressione possono essere agevolmente distinte in base ai sintomi, ai segni e alle caratteristiche di personalità. In base a questi dati appare evidente che ansia e depressione possano essere considerati come stati patologici differenti, aventi vari gradi di comorbidità – cioè varie possibilità di presentarsi contemporaneamente. Tali gradi di comorbidità sembrano modificarsi nell’età senile, in direzione di una maggiore prevalenza depressiva, a fronte di una più limitata prevalenza di patologia ansiosa associata alla depressione. Ma questo è un dato generale, la condizione connessa ad uno status. Se invece andiamo a valutare con maggiore attenzione la possibilità dell’esistenza di una vera psicopatologia senile, ci dobbiamo confrontare col fatto, più sopra accennato, che i fattori di personalità sembrano avere una funzione rilevantissima in senso patoplastico, cioè nel determinare, per così dire, le modalità espressive del disturbo.
Proprio perchè la senilità è il momento in cui si manifestano scompensi di vario ordine – sul piano biologico, relazionale, adattivo, interpersonale, affettivo – tale condizione può facilitare l’emergere di assetti patologici della personalità che, sino a quel momento, sono stati compensati, comunque integrati e dissimulati. Questo problema è stato indirettamente affrontato nel più importante sistema diagnostico, elaborato dall’American Psychiatric Association e poi adottato in tutto il mondo occidentale, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, familiarmente citato col suo acronimo DSM, seguito dal numero di revisioni effettuate sul testo). Nella sua terza edizione riveduta, viene infatti suggerito che: “Le manifestazioni dei Disturbi di Personalità sono generalmente riconoscibili durante l’adolescenza, o ancora più precocemente, e continuano per la maggior parte della vita adulta, sebbene possano divenire meno evidenti nell’età media o nell’età avanzata”.
Una simile valutazione parrebbe sufficientemente impropria da suggerirne una rilettura anche in senso puramente nosografico. Ed infatti sempre il DSM, ma nella sua quarta revisione, ha rivalutato il problema in termini assai più appropriati, a dimostrazione della validità dell’assunto che le condizioni tipiche della senilità, al contrario di quanto suggerito precedentemente, possono incentivare ed attivare tratti patologici di personalità, magari presenti sin dall’adolescenza.
“Alcuni tipi di Disturbi di personalità (in particolare i disturbi di Personalità Anticosociale e Borderline) tendono a rendersi meno evidenti o ad andare incontro a remissione con l’età, mentre questo sembra meno vero per alcuni altri tipi (per es. disturbi Ossessivo-Compulsivo e Schizotipico di Personalità)”.
D’altra parte il Disturbo di personalità, non ha quindi rilevanza clinica, non presenta sintomi evidenti e viene, per questo, abitualmente sottovalutato. Esso, per condizioni legate ad un contesto esistenziale adeguato e facilitante, può anche non essersi mai manifestato, pur essendo magari presente sin dall’adolescenza. La senilità, con i mutamenti che provoca ed impone, con la necessità di un riassestamento a vari livelli, con l’emergere di nuovi fattori di stress psicosociali può provocare l’emergere di un disturbo di personalità sino ad allora perfettamente mimetizzato. Ovviamente la senilità è condizione esistenziale nella quale possono anche emergere disturbi clinici, che giungono pertanto all’osservazione psichiatrica per la loro rilevanza sintomatologica. Si può dire pertanto che sembrano esistere disturbi nevrotici nell’anziano (il nevrotico invecchiato) e disturbi nevrotici dell’anziano (vecchi che diventano nevrotici).
I fattori di personalità possono pertanto influenzare l’insorgenza e la forma dei disturbi mentali nell’anziano, e questo ne spiega la variabilità sintomatologica e l’espressività clinica, anche se si può concordare sul fatto che le circostanze patogenetiche sono sostanzialmente uniformi: lo stress psicosociale, il mutamento delle condizioni di vita, in una parola la vulnerabilità tipica dell’anziano sono i fattori che possono scatenare lo scompenso psicopatologico, sostenuto, incrementato e direzionato da disturbi di personalità, sino a quel momento ben compensati, nel contesto di una situazione di generale equilibrio. Insomma la personalità in qualche modo condiziona e ‘modella’ i disturbi psichiatrici dell’anziano. Nulla di nuovo. E’ un concetto che, in fondo, è perfettamente espresso da un famoso proverbio italiano: “Chi nasce tondo non può morire quadrato”…
Giovanni Iannuzzo