Si è svolto nella sala di lettura della Biblioteca comunale “Il Ponte” di Montemaggiore Belsito, annessa al Centro Polifunzionale “Papa Giovanni Paolo II”, un nuovo incontro della Rassegna letteraria promossa dall’Associazione “Fables”. Presentato il libro “Non capivo: parole reali che la storia nasconde” di Romano Bosich, Luglio Editore di Trieste (2022).
Hanno partecipato: lo stesso autore Bosich, il vice sindaco di Montemaggiore Belsito, Riccardo Siragusa, Francesca Luzio in veste di relatrice, con un suo contributo critico e di ampia analisi letteraria assai pregnante; il presidente di Fables Luciano Runfola, sempre dell’associazione Fables, Enza Pedone, in veste di conduttrice e moderatrice, assieme a Salvina Cimino che ha letto i brani scelti.
Romano Bosich è nato a Pola nel 1950. Per sei anni la città dell’arena è stata tutto il suo mondo: la casa, gli amici, l’ammirazione per il fratello maggiore Renato, l’amore per nonna Agata. Un mondo che si capovolge nel 1956 quando i suoi genitori, seguendo l’esempio di altre decine di migliaia di “polesani”, abbandonano per sempre la propria città e vanno in Italia o più lontano ancora.
Per lavoro soggiorna in vari paesi esteri. Attualmente vive in Sicilia. Ex Project Manager, ritorna al primo amore di regie teatrali.
Romano Sauro – nipote dell’eroe nazionale Nazario Sauro – scrive nella prefazione del volume dell’esule da Pola Romano Bosich: “Un libro scritto a più mani ma che, con le storie dei due fratelli diverse solo per cronologia, ma che ben si integrano nel racconto, confluiscono verso un comune fattore che è quello della ricostruzione di una storia famigliare iniziando dai ricordi giovanili, dai racconti dei genitori, dall’indagare diligente nelle carte e nella storia del passato, dal rovistare in soffitta alla ricerca di qualche lettera, di qualche vecchia e sbiadita fotografia. Per ricostruire la storia della loro famiglia e, indirettamente, dell’Istria e di Pola. Romano ripercorre così il lungo cammino della sua storia personale, di quella di suo fratello Renato, più grande di lui, della sua famiglia e del popolo istriano, al quale sente di appartenere intimamente”.
Se mai la storia o gli storici hanno nascosto qualcosa, basta soltanto scriverne e parlarne per divenire essi stessi “storici” – se pur non accademici – che fanno la Storia; allora, qui, l’autore si inserisce nel filone noto come “letteratura dell’esodo” aperto da Fulvio Tomizza e trattato da Nelida Milani Kruljac, Ester Barlessi e Anna Maria Mori. La storia, anche quella che correntemente è detta “minore”, minore non è, ma completa quella “principale”.
Racconta l’autore del libro, di essere tornato a Pola, dopo averla lasciata con la sua famiglia, all’età di sei anni, decenni dopo, riuscendo cosi a riscoprire le sue radici, e grazie alla consistenza documentazione raccolta da suo fratello, purtroppo morto anni dopo aver lasciato la stessa Pola. Di aver voluto “Raccontare la sua vita, la sua esperienza con fatica, arrivano sino in fondo, alla pubblicazione del libro; lui esule come circa 150.000 altri esuli”.
La moglie dell’autore, Nina Bosich, ha concluso l’incontro raccontando, ricordi e riflessioni familiari, dicendo che Romano ha trovato la forza di dire: “Sono istriano di Pola”, come ha raccontato nel libro: “Non capivo: parole reali che la storia nasconde”, lo stesso ha spiegato che il titolo contiene nel sottotitolo l’esplicazione, del contenuto e dell’intento della scrittura; non una racconto che vada contro o voglia svelare qualcosa che gli storici ignorano, ma per storia intende il livello personale del suo racconto, la voce di una persona di uno che ha vissuto personalmente i fatti accaduti allora che lo hanno costretto ad essere esule. Lo stesso Riccardo Siracusa, a proposito, rileva che il libro è un racconto doloroso, un dolore personale e drammatico, cogliendo l’essenza e l’intento di lenire tale dolore.
Un individuo, costretto nell’infanzia a lasciare il suo Paese è come esprime la frase “deracine, senza radici”, coniata da un gruppo di scrittori e poeti del XIX secolo, principalmente francesi, in questo contesto esclusivamente, il sentirsi senza radici per aver dovuto abbandonare i luoghi dell’infanzia, per approdare si in un paese democratico, ma dove si trova l’incognita di quello da dover ricostruire, per iniziare una nuova vita, avendo comunque perso prematuramente il contato con le proprie radici, istriane.
Lo scrittore Filippo Licata, scrive del libro: “Mancanza. Così chiamerei il saggio in forma di diario di Romano Bosich, nato in quell’Istria italiana che non c’è più. È un sentimento amaro quello che emerge dalle pagine, a volte intimo, che seppur collocato in un periodo ben preciso del tempo e dello spazio, sembra perderne tutti i connotati storici. Sul pelo dell’acqua come ninfea galleggia una assenza che accomuna tutti coloro che hanno vissuto nell’infanzia in un luogo che adesso è custodito nei ricordi idealizzati, mitizzati, esaltati a volte oltre il reale di un adulto che ha visto quel mondo con occhi di ragazzo. La distanza, in apparenza solo cronologica, sembra aver proseguito ad alimentare quei volti, quelle sensazioni, quei legami quotidiani ma così non è stato. In realtà ì ricordi non trovano più i necessari riscontri nel reale, e tra le mura ora diventate estranee soffia un vento freddo. Neanche il sentirsi a casa camminando tra la gente e per quelle strade è sopravvissuto. Nulla lo è più lo stesso, nulla può essere più visto col medesimo sguardo giovanile ma si è costretti a capire, a svegliarsi dal sogno che ostinatamente si voleva proseguire a fare. Nonostante tutto rimangono indelebili quelle immagini oniriche e dolcemente adolescenziali che certamente non possono e non vogliono fare ricorso alla storia per trovarne origini, cause e colpevoli. Tratti forti, esperienze vivide, sguardi presenti alimentano tuttavia un velo di nostalgia, un intimo vuoto che sopravanza il ricordo luminoso e vitale di quei tempi passati. Ora, tirate le somme, anche il cuore deve arrendersi all’assenza provata dall’umanità, di popoli lontani e diversi ma tutti accomunati dal medesimo destino dell’abbandono. Cacciati sono stati gli arabi di Sicilia e gli Italiani d’Istria e che in quest’Isola hanno un luogo forse dell’anima, un crocevia. Qui qualcuno ha trovato forse una nuova appartenenza, chi nuovi equilibri, chi li sta ancora cercando: certamente tutti hanno tentato o tentano ancora di capire cosa è vivere”.
Santi Licata
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