I fenomeni “paranormali” fanno parte della storia e della cultura umana. In fondo, l’interesse propriamente scientifico verso questi misteriosi eventi, indipendentemente dal grado di comprensione di essi raggiunto, è abbastanza recente, se paragonato con la loro storia culturale. La caratteristica sostanziale dei fenomeni che oggi definiamo “parapsicologici” è, però, quella di rappresentare in prima istanza delle “credenze”. Nessuno metterebbe mai in dubbio che esiste la percezione, né tanto meno ‘crederebbe’ alla percezione. La percezione semplicemente esiste, e ne siamo tutti consapevoli per il semplice fatto che tutti la sperimentiamo. Nessuno, allo stesso modo, metterebbe in discussione l’esistenza del sogno, perché chiunque, per quanto raramente, ha sognato.
Nel caso dei fenomeni parapsicologici, la loro natura particolare, la loro erraticità, il fatto che essi non siano condivisi da tutti, li rende fondamentalmente oggetto di credenza. C’è chi crede alla loro esistenza, e chi no. Ora, mentre è abbastanza facile comprendere perché le persone possano non credere ai fenomeni parapsicologici – il motivo fondamentale potendo essere legato alla semplice adesione alle nozioni scientifiche acquisite sulla natura del mondo – è abbastanza più difficile spiegarsi i motivi per cui la gente crede al cosiddetto paranormale. Il livello e i modelli di credenza possono modificarsi in differenti periodi storici, ma il dato generale dell’esistenza di una credenza resta, sebbene con modalità differenti di volta in volta. In realtà, infatti, la ‘credenza’ è assai spesso aprioristica: intendo dire che essa è presente o assente in maniera del tutto autonoma rispetto ai dati scientifici disponibili. Insomma, indipendentemente dal fatto che i fenomeni paranormali siano veri o no, molte persone credono che essi esistono. E questo basta.
Esistono diverse “scale di valutazione” della credenza nel paranormale, test e questionari volti ad indagare una complessa serie di credenze, dalla percezione extrasensoriale all’astrologia, al mostro di Loch Ness. Il problema è la loro aspecificità, perché è ben diverso credere all’esistenza dei fantasmi o agli sbarchi di marziani sul nostro pianeta in epoche remote. Cambia, la prospettiva entro la quale si inquadra soggettivamente l’oggetto della credenza anche su un piano cognitivo ed emozionale. Se generalizzassimo in questo modo, ci troveremmo a dovere appiattire in maniera indiscriminata tutte le tipologie di credenze.
Le credenze infatti possono essere molto selettive, e per valutarle vanno probabilmente considerate molteplici dimensioni. Una conferma dell’utilità di questo approccio è data dai numerosi studi che hanno dimostrato come determinate caratteristiche psicologiche siano associabili soltanto a determinate tipi di credenza, e non ad altre. Ci occuperemo pertanto solo delle credenze nel paranormale.
La funzione della credenza
Qual è l’origine delle credenze nel paranormale e quale è la loro funzione nel contesto della personalità e della vita degli individui? La gente può ovviamente credere nel paranormale per una serie di motivi apparentemente plausibili: per aver letto testi scientifici convincenti, per aver letto qualcosa di suggestivo e affascinante (l’articoletto sulla rivista popolare) o anche per personali esperienze “psichiche”. Naturalmente esiste un’altra chiave di lettura. Ci si può infatti chiedere se tutte le persone, di fronte a questi stimoli, reagirebbero allo stesso modo. E la risposta è che dipende probabilmente dalla personalità dell’individuo fare di certe letture (scientifiche o meno) o di certe esperienze (realistiche o meno) un mezzo per credere al paranormale. L’avvicinamento al paranormale, insomma, non sarebbe casuale e solo alcune persone, rispetto alla popolazione generale, si trovano, tutto sommato, in situazioni che incoraggiano la credenza nel paranormale. Allora essa può essere spiegata come fatto implicito alla personalità, come se, insomma, esistessero soggetti più o meno “predisposti” a credere al paranormale. Una risposta possibile è che questa credenza serve per un adattamento psicologico.
La credenza nei fenomeni paranormali può essere considerata uno dei prodotti della pratica all’auto-inganno che caratterizza in talune occasioni la mente umana. Le credenze, con la loro capacità di dare significato ad eventi apparentemente casuali e incontrollabili, consentono la costruzione di una trama cognitivo-emotiva che favorisce l’adattamento dell’uomo. Detto in altre parole, la mente umana è pronta a ritenere esistenti relazioni inesistenti o quantomeno indimostrabili (“correlazioni illusorie”) purché queste favoriscano il benessere psicologico dell’individuo: “…le illusioni mantengono una immagine favorevole nell’anticipazione degli eventi probabili”, come scriveva Taylor.
Si tratta di un concetto che è stato bene espresso, sempre da Taylor, insieme a Brown, che suggeriscono l’immagine di self-serving illusion (illusione auto-sufficente), in altre parole di un’illusione che è sicuramente falsa, ma che comunque ha la funzione, fondamentale per la salute mentale, di creare un “filtro” attraverso il quale la realtà acquista un suo ordine e un suo senso. La mente sana pratica l’autoinganno per adattarsi all’ambiente e sopravvivere. Fin da piccolo il bambino sembra possedere una motivazione autonoma a padroneggiare l’ambiente in cui vive: cerca di conoscerlo, e quando è possibile modificarlo, in modo da rendere più probabile il raggiungimento dei suoi scopi.
La possibilità di controllare gli eventi è una capacità alla quale l’uomo non vuole rinunciare. E’ stato dimostrato che quando si sottopongono dei soggetti ad attività in cui il successo è puramente casuale (es. partecipazione ad una lotteria), e in tale attività vengono inseriti fattori normalmente legati a situazioni controllabili (competizione, scelta, familiarità, coinvolgimento, pratica), tali soggetti mettono in atto comportamenti che chiaramente tradiscono un tentativo di controllo ed una quantomeno sfumata percezione della casualità degli esiti in cui sono coinvolti. Una semplice coincidenza casuale tra un comportamento prodotto da un organismo e l’evenienza di un fenomeno esterno può generare la convinzione che quel comportamento possa generare l’evento concomitante.
Quindi uno dei processi cognitivi sottostanti la credenza nei fenomeni paranormali è la suscettibilità a credere in correlazioni illusorie: una sorta di bias cognitivo che porta a sostituire coincidenze con connessioni causa-effetto. Non è un caso che i credenti nei fenomeni paranormali tendono a preferire giochi i cui esiti sono determinati dal caso: la percezione di correlazioni illusorie li porta a sovrastimare la loro abilità nel controllare gli esiti di tali giochi.
La percezione di tali ingiustificate correlazioni nasce probabilmente dalla incapacità a rinunciare alla possibilità di controllare gli eventi. Per altro si sa che una perdita anche temporanea di controllo è ansiogena: meglio illudersi di poter controllare che sentirsi impotenti (learned helplesness). L’uomo ha bisogno di sentirsi capace di svolgere una prestazione perché il percepirsi come in grado di agire sulla realtà è un preludio indispensabile per una efficace azione su di essa. L’auto-efficacia può essere definita come l’aspettativa di poter portare avanti con successo comportamenti necessari al raggiungimento di obiettivi desiderati; l’auto-percezione di sé stessi come ‘efficaci’, modifica modelli di pensieri e di azioni e l’attivazione emozionale: insomma l’aver fiducia nelle proprie capacità di performance porta concretamente a prestazioni migliori. Il credente nei fenomeni paranormali può essere considerato una persona che ha sperimentato il fallimento in una o più aree della propria vita, è convinto di non essere capace di influenzare con il proprio comportamento aspetti rilevanti della sua esistenza, così che, per non rinunciare alla possibilità di influenzare gli esiti della propria vita, è più portato a praticare l’autoinganno: meglio la percezione di un controllo illusorio, che la perdita di controllo.
In altre parole una qualsiasi condizione stressante può essere tollerata meglio se inserita in una trama cognitiva che le dia un senso. La credenza nei fenomeni paranormali può essere così considerata un complesso tessuto di conoscenze che, per quanto ingiustificate possano essere, forniscono un modo per controllare e quindi attenuare situazioni potenzialmente minacciose, e di fatto inevitabili. Una persona che sperimenta il fallimento in aree quali ad esempio l’acquisizione di un lavoro o nella gestione della vita amorosa e affettiva, può più facilmente rivolgersi ad un cartomante per ‘conoscere’ ed essere rassicurato su questioni che una mancanza di auto-efficacia personale circonda di una ansia difficilmente gestibile.
Le persone mostrano per altro una sorta di ottimismo ingiustificato che le porta a ritenere che alcuni eventi frustranti (come le malattie, gli incidenti, il divorzio…) possano più probabilmente accadere ad altri che a se stessi; esiste cioè una sorta di motivazione alla protezione di se stessi (Self-Serving bias) che porta a distorcere la percezione della causalità di eventi qualora questi possono minacciare la sopravvivenza dell’organismo. La nostra mente sembra quindi pronta ad alterare la percezione dei fatti, se questo può servire a sentirsi più protetti.
Lo psicologo Schumaker afferma che le credenze nel paranormale hanno ‘spostato’ le tradizionali credenze religiose, quasi a costituire una sorta di ‘religione non religiosa’ che ha il valore sostanziale di essere “mental health prophilactics”, di essere cioè una forma di prevenzione del disagio psichico. Credere nel paranormale sarebbe utile, anche se il costo di questa credenza si paga con la moneta sonante dell’autoinganno, della sospensione del pensiero razionale e critico e di un certo impoverimento della realtà. Insomma, in conclusione, sembra che credere nel paranormale possa essere un modo di salvaguardare la propria salute mentale. Ancora una volta, nel regolare il comportamento umano, l’irrazionalità vince la partita con la ragione… Uno a zero. E palla al centro…
Giovanni Iannuzzo