Cefalù, incontro con Adelmo Cervi figlio di Aldo, uno dei sette fratelli fucilati dai fascisti a Reggio Emilia nel 1943

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Venerdì 5 luglio alle ore 18 presso la sala Cinema Di Francesca di Cefalù si svolgerà un incontro con Adelmo Cervi, figlio di uno dei 7 fratelli Cervi. Giovanni Cristina, per gli Amici del Cinema Di Francesca e Antonio Franco, Assessore comunale alla cultura, dialogheranno con Cervi di cui viene presentato il libro “I miei Sette Padri”; un’ occasione fortemente voluta e sostenuta dall’Amministrazione Comunale con il coinvolgimento del Consiglio di Biblioteca. Dopo il saluto del Sindaco sono previsti gli interventi di membri della sezione Anpi Madonie e della comunità Masci di Cefalù.

«Questa è una storia dove prendo quello che mi hanno raccontato e ci attacco quello che non mi hanno raccontato, e che ho scoperto leggendo libri e parlando con parenti, amici, studiosi. Non è la mia storia, è la storia di un uomo che non c’è più, ma è più mia di qualunque altra storia mi venga in mente”.

Sono le parole che Adelmo Cervi pronuncia nel docufilm di Liviana Davi in cui si ripercorre la storia partigiana e umana dei  fratelli Cervi ad ottant’anni dalla loro uccisione a Reggio Emilia, per mano dei fascisti repubblichini. Il  documentario, presentato alla cineteca di Bologna, è direttamente basato sul libro di Cervi che la regista ha personalmente conosciuto grazie al fatto di aver lavorato proprio al Museo Cervi di Bologna.

Figlio del terzogenito Aldo Cervi, Adelmo ha da poco compiuto quattro mesi quando suo padre viene assassinato. La sua narrazione fa rivivere una delle più drammatiche e al tempo stesso emblematiche pagine della Resistenza italiana con l’intento, da parte dell’autore, di diffondere gli ideali di libertà che hanno animato le vite dei suoi “padri”, padri del paese intero, attivi contro la sopraffazione del capitalismo e le ingiustizie perpetrate dal regime fascista.

Agli inizi del ventennio La Famiglia Cervi é quasi un clan, come nella migliore tradizione della civiltà contadina: papà Alcide, mamma Genoeffa e 7 figli, tutti ricordati e descritti nelle pagine del libro con ricchezza di dettagli e in maniera coinvolgente. Accanto a loro un folto gruppo di parenti ma anche di compagni di lavoro e, successivamente, anche di rivendicazioni.

Attraverso il duro lavoro dei campi, da operai i Cervi divengono mezzadri e poi agricoltori autonomi. Con fatica nonno Alcide arriva ad essere tra i primi possessori di trattore della provincia di Reggio Emilia: sostituire il toro nel traino per livellare il terreno permetterà di renderlo più produttivo perché meglio irrigabile.

Ma il potere brutale ed oppressivo incombe, e, quando non danneggia direttamente e praticamente, ostacola il riscatto dei contadini con il suo fare prepotente, ad esempio alimentando dicerie che tolgono fiducia e credito.

Il giovane contadino Aldo Cervi aveva avuto modo di riflettere sui valori della giustizia e della libertà durante il periodo di prigionia scontato nel carcere di Gaeta. Quell’ingiusta carcerazione era stata l’occasione in cui maturare l’idea di opporsi fermamente al regime in nome del progresso civile le cui basi vengono chiaramente individuate da Cervi nell’affrancamento dei contadini e degli umili in genere dall’ignoranza e dal bisogno che fa abbassare la testa.

Così, gli anni successivi alla sua scarcerazione saranno densi di impegno civile, con la conseguenza di procurare alla famiglia grandi dolori e difficoltà. Nelle pagine del libro l’autore denuncia con fermezza i soprusi subiti dai suoi, le violenze fisiche e l’incendio della casa di sua nonna, Genoeffa,

Quindi la guerra, spartiacque storico, che, come vediamo anche oggi, confonde bene le idee.

Ma Aldo e i suoi fratelli sanno bene da che parte stare. Una scelta la loro che è un frutto spontaneo, maturato grazie agli studi da autodidatti e alla militanza politica. La loro lotta è fondata su una certezza: la patria, quella terra nella quale hanno faticato per affrancarsi dalla miseria e dall’ ignoranza, va difesa e i suoi figli dovranno essere liberi e non schiacciati da governi che non si fanno scrupolo di acquistarsi privilegi al prezzo del sangue dei deboli.

In questo prezioso libro la memoria storica si combina alla ricerca personale di Adelmo che guarda verso il padre, mai veramente conosciuto : una ricerca che non è quindi solo storica e men che meno agiografica ma piuttosto umana ; la ricerca di un genitore nella propria dimensione intima e quotidiana, avvertito dal figlio come presente pur nella sua “invincibile mancanza”.

“I miei sette padri” è una storia di ingiustizie ma anche di solidarietà e voglia di riscatto. Il libro può definirsi l’affresco di un tempo e di una civiltà contadina in definitiva scomparsi eppure il monito a non arrendersi e a non rinunciare a lottare è più che mai attuale e vivo nelle intenzioni dell’ autore.

Il 25 aprile, in occasione dell’anniversario della Liberazione, Adelmo Cervi è solito ricordare le vicende dolorose che hanno segnato la sua esistenza, ma soprattutto parlare a tanti giovani per fare loro comprendere l’opportunità che hanno di impegnarsi contro le disparità sociali contribuendo alla creazione di un mondo migliore, che ripudi la guerra, la povertà e lo sfruttamento.

“Ritengo che i miei cari non siano stati eroi, ma semplici contadini che lottarono per difendere la vita e i diritti dei più deboli e bisognosi, perché questo significa essere antifascisti”.

Nel merito acquistano un valore più alto ed universale le parole con cui Adelmo si rivolge direttamente al padre Aldo: “Grazie per “Avermi voltato”, insieme a tanti compagni di ieri e di oggi. Grazie per quelli che “volterai” domani. C’è ancora tanto per cui lottare, in questo mondo”.

Barbara De Gaetani