Gli effetti psicologici della pornografia

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Porno è una parola di origine greca che ha il significato di “meretrice”. In senso più lato significa classicamente la “Voluta esibizione di organi e atti sessuali per provocare eccitazione”. Il fenomeno della pornografia ha assunto nella società contemporanea globalizzata un peso di rilevanza del tutto sconosciuta prima alla civiltà occidentale. Se infatti è vero che immagini e letteratura pornografica accompagnano lo sviluppo della cultura della sessualità in Occidente sin dai suoi primordi, è anche vero che mai come da circa un ventennio e questa parte l’offerta – e la domanda – di materiale pornografico ha conosciuto tanto successo in un pubblico peraltro estremamente eterogeneo.

A tale successo ha contributi in modo fondamentale lo sviluppo dell’informatica e l’avvento dei social.

Il fruitore attuale di pornografia infatti, non è più assolutamente inquadrabile nelle categorie “classiche” secondo le quali il consumatore di pornografia è una persona perversa o sessualmente insufficiente e problematizzata. Oggi il consumo di materiale pornografico è diffuso pressoché in tutti gli strati della popolazione e si può considerare assolutamente comune, anche se con percentuali certamente diverse. L’unica cosa rimasta uguale è la vecchia distinzione tra pornografia soft e quella hard. In quella soft, si privilegia la carica erotica e si lascia all’immaginazione il resto. In quella hard è il resto che la fa da padrone. A proposito di porno soft, guardiamoci un po’ intorno.

Veline, attricette e presentatrici praticamente seminude dominano gli schermi televisivi. E non c’è rotocalco o rivista – anche quelle un tempo cosiddette “impegnate” – che non sbatta in copertina immagini dalle chiarissime connotazioni sessuali. Pornografia spicciola e casalinga, domestica e rassicurante. La pornografia fa ormai parte del quotidiano e per scrutare fra le gambe levigate e abbronzate di conduttrici rampanti, o apprezzare entità e caratteristiche dei seni di venditrici di “qualcosa” via etere, non devi fare fatica: basta un piccolo zapping e trovare gli orari giusti e qualche cosa la trovi.

Insomma, discutere oggi di pornografia soft e criticarla quasi ridicolo. Ricorda molto quegli strani casi – di cui è ricca purtroppo la storia – in cui un ufficiale in piena e sanguinosa guerra viene accusato di omicidio. La pornografia è così. Fa parte della nostra vita quotidiana. Attori “impegnati “ e famosi si cimentano in rapporti sessuali con colleghe altrettanto impegnate, e in scene decisamente “hot”. Veline improvvisate, di cui puoi persino intravedere o immaginare tutto, si alternano a maschi palestrati che in televisione, ed in prima serata, stanno a raccontarti (senza particolari, ma senza indurre il video-ascoltatore a troppi sforzi di immaginazione …) delle proprie performance sessuali con attrici belle e “ femmine”  (della serie: adesso ti racconto che cosa le ho fatto, che cosa mi ha fatto, in breve che cosa abbiamo fatto …). Insomma, parlare oggi di pornografia soft sembra veramente stupido, forse insignificante.  Diverso è il discorso per la pornografia hard, quella vera e propria. Un tempo relegata a riviste ‘specializzate’ o ai famosi ‘cinema a luci rosse’ o, successivamente a video-cassette magari taroccate (costavano meno…) da comprare in modo circospetto nelle edicole delle stazioni, oggi l’avvento della rete e dei social l’ha resa di uso quotidiano, offrendo tutte le scelte immaginabili, in base a gusti o propensioni personali. C’è di tutto e di più.

Di fronte alla presenza ubiquitaria della pornografia nella società contemporanea è il caso di chiedersi quali possano essere gli effetti della prolungata esposizione ad essa, in particolare – ma non solo – da parte degli adolescenti. In particolare tale domanda riguarda il rapporto vero o presunto fra consumo, per così dire, di pornografia e comportamento antisociale e criminale nei confronti della sessualità.

Al riguardo, forse non è superflua qualche digressione storica. Della questione del potenziali danni psicologici della pornografia si occuparono specificamente alcune commissioni governative, statunitensi, per esempio la Commission on Obscenity and Pornography che, già nel 1970, diede alle stampe un rapporto dai risultati comunque abbastanza incerti. Una seconda commissione, questa volta l’inglese Longford Committee Investigating Pornography (Longford Committee, 1972/78) si occupò dello stesso problema un paio di anni dopo, pubblicando risultati più ideologici che scientifici, enfatizzando molto i deleteri effetti della pornografia, ma anche stavolta senza fornire indicazioni in alcun modo certe.

Il dato di fatto che, in realtà, sembra emergere da tutti gli studi condotti è l’incertezza di una correlazione specifica, dimostrabile e inoppugnabile tra comportamento antisociale e pornografia. E’ probabile che ciò sia dovuto alla mancanza di adeguate metodologie, o al fatto di non distinguere (è il caso del rapporto Longford) tra una indagine scientifica e una campagna di sensibilizzazione sociale.

Oggi, rispetto agli ultimi decenni del secolo scorso, l’uso di materiale pornografico, nella bella definizione che ne diede il Dizionario Garzanti nel 1987 (“trattazione o rappresentazione, in scritti, disegni, fotografie, spettacoli, di temi o soggetti osceni, fatta senza altro intento che quello di stimolare eroticamente i fruitori”) è ormai entrata nella quotidianità: disponibile ad un livello pari a quello di qualunque altro prodotto di comunicazione di massa, il suo consumo è non solo sostanzialmente decolpevolizzato a livello sociale, ma anche in qualche modo incentivato.

Mercati pornografici

Secondo calcoli ISPES, gli italiani solo nel 1987 spesero per l’acquisto e il noleggio di videocassette pornografiche circa 120 miliardi di vecchie lire. Niente male come fatturato L’aspetto, però,  radicalmente nuovo dell’evoluzione della pornografia fu costituito dalla sua versione informatica, quella che ha veramente trasformato il costume e attivato nuovi effetti psicologici. Ai suoi esordi questa tendenza si concretizzò, in massima misura, nella produzione di video-games dichiaratamente pornografici, che talora potevano anche essere “gestiti” dall’utente, o, più frequentemente ancora, in rudimentali filmati o semplici foto, spesso di qualità molto scadente. Come è ovvio, la continua, velocissima evoluzione della grafica del computer, ha consentito non solo la nascita di una vera e propria pornografia computerizzata, con effetti altamente realistici, ma anche la fruizione, per mezzo della “rete” di Internet di materiale pornografico di ogni ordine e tipo, di ottima qualità e con la possibilità avere a disposizione tutto il materiale video possibile relativo al sesso e alle sue più variegate espressioni. Ma quali sono gli effetti dell’esposizione a materiale pornografico, visto che tale esposizione è oggi enormemente più frequente – direi quasi costante! – di quanto non fosse in passato, essendo la pornografia uscita da quel regime di semiclandestinità che la caratterizzava? Credo che non esista una attendibile letteratura specifica al riguardo, ma, per semplice curiosità storica, può essere interessante esaminare alcune valutazioni espresse in passato.

Gli studiosi Goldstein, Kant e Harman, sostennero già nel 1973, che una valutazione ottimale degli effetti della pornografia può essere realizzata soltanto con una distinzione tra effetti immediati e effetti a lunga scadenza. Infatti, se sul momento la reazione può essere esclusivamente emotiva (dal piacere alla rabbia, al disgusto) sono le reazioni a lunga scadenza che possono rivestire la massima importanza.

“L’esposizione a materiale erotico ad una determinata età può modellare gli atteggiamenti e i valori sessuali di un individuo, anche se i risultati di questo processo formativo non saranno evidenti se non dopo molto tempo…”.

Studi di questo tipo non sono stati in questi anni molto frequenti e le informazioni oggi disponibili sono conseguentemente piuttosto esigue. Tra gli studi ‘classici’ più interessanti è il caso di menzionare quello di Zella del 1982 che ha verificato gli effetti a lunga scadenza dell’esposizione a materiale pornografico in due ragazzine, figlie di una famiglia la cui attività economica era fondata sulla produzione di materiale pornografico. I loro vissuti sessuali ne erano stati in qualche modo influenzati: mentre una di esse aveva inserito almeno per qualche tempo nella sua vita sessuale elementi tratti dall’immaginario pornografico, l’altra era risultata, da questo punto di vista, normale. L’autore discusse ovviamente anche delle differenze nelle esperienze delle due ragazze e suggerì la valutazione di ulteriori variabili, come le confidenze riguardo alla sessualità di adolescenti dello stesso sesso. In ogni caso è da valutare attentamente la relazione tra stimolo e risposta in relazione a differenti aspetti della personalità e, quindi, ad una differente vulnerabilità soggettiva all’esposizione a materiale di tipo pornografico. Nel già citato rapporto Longford, che, nel capitolo dedicato alla “Pornografia in prospettiva”, afferma, con un tono che non ammette repliche:

“Perché abbiamo intrapreso questa inchiesta? Non perchè siamo degli individui putibondi e guastafeste, ma perchè ci siano resi conto che nella nostra società sono all’opera forze che mettono in pericolo la capacità stessa di una vera gioia, denigrando e svalutando la persona umana. Coloro che credono che stiamo facendo d’un granello una montagna, non hanno veduto quel che abbiamo visto noi. Se qualcuno ha mai dato un’occhiata a certe pubblicazioni che, com’è risultato, circolano in alcune scuole, non può avere il minimo dubbio sul fatto che i nostri giovani possono essere sposti a influenze che sono, non solo indesiderabili, ma tali da avvelenare l’immaginazione del bambino e le possibilità future dei suoi rapporti umani”.

Kenneth e Iches  nel 1984 misurarono il tempo di visione di materiale porno e le risposte di un gruppo di studenti suddivisi in categorie stereotipate di ‘pruderie’ e “pornofilia”. Si è accertato che i soggetti animati da pruderie risultavano più sensibili al materiale esposto rispetto ai pornofili. Sebbene i risultati meritino ulteriori riflessioni (restava da stabilire, secondo gli autori,m quanto nei risultati fosse da attribuire, per esempio, alla preconcetta attribuzione di categorie), essi indicano che alla base di certi atteggiamenti pornofobici esistano caratteristiche di personalità, e differenti risposte emotive.

Una grossa variabilità è data oltretutto dal livello culturale, come osservarono già Kinsey et al. nel 1948, nel loro storico, pionieristico studio sulla sessualità umana. Connettendo un più elevato livello culturale ed economico ad una maggiore capacità di fantasticare, i ricercatori trovarono che un eccesso di pruderie, il considerare cioè l’impiego di foto e di letteratura come mezzo per aumentare le fantasie, come una perversione era tipico dei maschi di livello sociale più basso. Ovviamente la diffusione sempre più ubiquitaria della pornografia rende oggi meno valida la campionatura di Kinsey, ma non cambia le premesse di questa particolare valutazione della pornografia come strumento per produrre un incremento della dimensione immaginativa della sessualità.

Al riguardo, elementi di valutazione interessanti ci vengono dall’antropologia e dalla storia stessa. Abbiamo infatti prove che anche in società sessualmente sanissime l’uso della pornografia poteva essere addirittura enfatizzato come ottimo strumento per il raggiungimento di una vita sessuale migliore. L’esempio più eclatante è quello offerto dalla Cina antica. In un celebre romanzo erotico risalente al periodo della dinastia Ming, “Il tappeto da preghiera di carne” viene descritto un uso piuttosto spregiudicato della pornografia da parte di un giovane sposo che si trova una moglie tanto bella quanto prude. E il metodo è quello d comperare per la moglie un costoso “album erotico” nel quale sono rappresentate le posizioni dell’atto amoroso con dovizia di particolari, in modo da poterla istruire come si conviene. La pratica degli “album sessuali” era diffusa nella Cina e non era considerata affatto ne sconveniente ne immorale. E, se dobbiamo prestar fede agli studi compiuti sulla vita sessuale dell’antica Cina, si trattava di una società profondamente sana dal punto di vista sessuale.

Come scrive l’antropologo Edgar Gregersen: “Tra gli interessi specificamente sessuali sviluppatisi o praticati in quest’area (l’occidente urbano industrializzato, nda), vi è l’enorme interesse per la pornografia scritta e soprattutto fotografica. La vera pornografia probabilmente è assente nella maggior parte delle società. I “libri-cuscino” giapponesi, manuali sessuali illustrati dati agli sposi in giorno del matrimonio, non sono considerati pornografici nella società giapponese, mentre lo sarebbero nel contesto europeo tradizionale. Persino i disegni e le sculture fatti appositamente per sollecitare la sessualità sono rarissimi nelle società primitive, anche se nei culti di fertilità di talune religioni vi sono rappresentazioni fortemente sessuali”.

E’ molto interessante il fatto che in talune culture orientali, quella cinese e quella giapponese in particolare, la pornografia sia utilizzata a scopo didascalico e pedagogico. Esistono degli esperimenti simili anche in occidente, sebbene ristretti ad un ambito più strettamente terapeutico. Sia in alcuni tipi di psicoterapia che di pratica clinica sessuologica, alcuni terapisti hanno utilizzato materiale pornografico per aiutare i pazienti a superare le loro difficoltà, legate a problematiche sessuali.

Un discorso sul rapporto tra igiene mentale e pornografia non può prescindere dalla valutazione dell’età dell’utenza, valutazione che ci consente di diversificare profondamente le implicazioni psicologiche e sociali del fenomeno. Tutti gli studiosi del problema, infatti, per differenti che possono essere le loro interpretazioni, suggeriscono e raccomandano di evitare una eccessiva esposizione al materiale pornografico di individui in età evolutiva. I motivi di questa necessità sono molteplici. Ne identifichiamo alcuni che appaiono di importanza determinante, se inseriti nel contesto del momento di sviluppo psicologico adolescenziale.

Anzitutto  la   presentazione   di  una immagine “esagerata” del sesso, o comunque troppo perfezionistica del sesso,  la sua mitizzazione in termini prestazionali in un difficile momento di sviluppo che vede una profonda crisi del ruolo e dell’immagine di se. Come scriveva Riva nel 1986: “Il miraggio del soddisfacimento del piacere senza ostacoli è l’assoluto presentato dalla pornografia: così la donna sarà sempre perfetta e sempre disponibile alla richiesta maschile, il maschio sarà sempre ‘virile’ di ottenere…”.

Una simile immagine della sessualità, indipendentemente dal suo esiguo spessore emotivo e dal fatto di essere realmente slegata da qualunque connessione con altre sfere dell’esistenza, come fatto puramente “estetico” e “prestazionale” quasi ovvio o obbligatorio, può avere effetti psicologici severi sugli adolescenti. Oltretutto, il messaggio pornografico offre l’immagine di un piacere diretto, facilmente ottenibile, fine a se stesso: è una immagine centrata su forti fantasie che tendenzialmente potrebbero sostituire la realtà, creando miti relativi a ciò che è possibile aspettarsi realisticamente dalla sessualità. La vita amorosa è in realtà assai più complessa, sia sul piano affettivo che su quello strettamente sessuale.

Altri fondamentali aspetto sociale del fenomeno pornografico è quello dell’immagine che la pornografia tende a fornire della donna – come semplice oggetto di piacere; l’idea che la sessualità maschile sia tale solo se fondata sulla prestazione eccezionale e superba; l’idea, ancora, che la relazione tra i sessi possa essere centrata esclusivamente su una sessualità ludica e orgiastica, facile perché priva di complicazioni relazioni e affettive, insomma “una e getta”.

C’è poco da meravigliarsi se alle tenere e smorzate conversazioni tra gli amanti dannunziani si è sostituito il “clic” ripetuto del piacere sessuale via internet. E ricordiamo comunque che l’eccessiva esposizione a uno stimolo, ne diminuisce l’intensità. Così l’eccesso sociale di esposizione alla pornografia rischia di far dimenticare cos’è la sessualità vera.

Giovanni Iannuzzo