Alia, la tholos della Gurfa testimonia l’esistenza di un villaggio capoluogo di un proto-regno del XIII sec. a.C.?

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Questo articolo propone una inedita interpretazione della Gurfa di Alia, secondo alcune ipotesi finora inesplorate, esposte dal sottoscritto al primo Convegno Internazionale “Il Mediterraneo e il megalitismo durante il III e il II millennio a.C.” (Palermo, settembre 2023). Gli atti del convegno sono stati pubblicati nel mese di dicembre 2023 con il contributo del Ministero della Cultura. Il contenuto che segue attinge a piene mani dal suddetto documento, con alcune interessanti integrazioni. In questa sede ritengo infatti utile inserire alcuni interessanti approfondimenti, nonché ulteriori immagini e fotografie che avevo potuto solo brevemente citare, a causa dei limiti e dei vincoli editoriali normalmente adottati nei convegni.

Come ogni altra ipotesi, questa mia interpretazione non ha maggiore o minore valore rispetto alle precedenti. Per un percorso corretto verso la più probabile verità storica, sono il primo a chiedere che le mie ipotesi vengano sottoposte a ogni possibile analisi e verifica, sia secondo il metodo scientifico che attraverso una disamina, fatta da figure autorevoli, in merito alla coerenza storico antropologica dell’orizzonte culturale a cui ho fatto riferimento.

Fig. 1 Veduta esterna del complesso rupestre della Gurfa di Alia

Inquadramento generale.

La Gurfa di Alia (Lat 37°44’55” Nord –  Long.13°45’14” Est) presenta caratteristiche che per molti aspetti la rendono unica nel panorama del megalitismo siciliano. Si tratta di un enigma storico e archeologico non ancora del tutto risolto, intorno al quale esistono interpretazioni discordanti soprattutto in merito alla datazione. Infatti a partire dalla seconda metà del XIX secolo, vi sono state varie interpretazioni e valutazioni, spesso diverse una dall’altra. Per brevità non le richiamo nel dettaglio, limitandomi ad una considerazione dettata dalla logica elementare: davanti a letture e interpretazioni differenti, l’unica cosa vera che possiamo dire è che le diverse interpretazioni e datazioni non possono assolutamente essere tutte contemporaneamente vere. In via preliminare, per cercare elementi utili ad una verosimile orizzonte culturale in cui sia possibile collocare il grandioso monumento, per prima cosa va evidenziata la sua posizione geografica, che è molto vicina ad un importante snodo di antichi percorsi lungo assi fluviali e vallivi della Sicilia: l’asse sud nord del fiume Platani e del fiume Torto e una serie di percorsi vallivi intervallati da agevoli valichi che, attraverso i rami sorgenti del Salso e poi lungo il Dittaino e il Simeto, sfociano sul mare Ionio (Fig.2).

Fig. 2 Elaborazione grafica dell’autore su figura ricavata da “La Sicilia prima dei Greci”, di L. Bernabò Brea. In colore giallo è evidenziato il percorso degli antichissimi cammini percorsi dall’uomo durante la preistoria e la protostoria. Bisogna però riportare con l’immaginazione la Sicilia alla sua condizione di allora, ossia tenere presente la copertura di un fitto e spesso inestricabile manto di foreste che coprivano tutto il territorio fino alle cime più alte. Per questo motivo, e per la necessità vitale di restare il più possibile vicino all’acqua, le vie percorribili non potevano che essere quelle a ridosso degli assi fluviali.

Una importante caratteristica peculiare della Gurfa riguarda le imponenti dimensioni della grande pseudocupola tholoidale con oculus in apice (altezza interna circa m.16,30), la più grande nel Mediterraneo.

Non vi sono dubbi sull’uso ininterrotto del sito, almeno fin dal Neolitico.

Questo, molto ragionevolmente, permette di escludere che l’attuale consistenza del complesso rupestre sia il risultato di una concezione architettonica unitaria e di un unico intervento di trasformazione antropica.

Fig.3  Le imponenti dimensioni della thòlos della Gurfa in un suggestivo confronto con l’architettura attuale.

Per rendersene conto, è sufficiente ad esempio osservare, in una sezione architettonica tracciata parallelamente al fronte esterno (Fig.4), la disomogeneità, la disarmonia e le caratteristiche architettoniche degli otto vani ipogei distribuiti su due livelli.

Fig. 4  In basso, la sezione tracciata parallelamente al fronte esterno

Per queste ragionevoli considerazioni, qualsiasi tentativo di interpretazione della destinazione originaria del monumento non dovrebbe assolutamente prescindere da un preliminare studio sistematico che, per quanto possibile in base agli elementi fisici e documentali a disposizione, possa ricostruirne la cronologia. Osservava in effetti, nel 2009, il prof. Massimo Cultraro (NB: le note bibliografiche riferite alle fonti consultate sono riportate):

“Lo stato della ricerca scientifica e il vistoso carattere monumentale della struttura (…) hanno alimentato le più svariate letture interpretative (…) [che] si fondano su un assunto a priori: la presunta unitarietà, architettonica e planimetrica, dell’intero complesso rupestre(…) Questa affermazione, presente a partire dagli studiosi dell’ottocento (…) ha creato un insolito sistema assiomatico deduttivo che ancora oggi continua (negativamente, ndr) ad influenzare la ricerca. Occorre (…) sgombrare il campo da questi pericolosi passaggi meccanico deduttivi e riportare il discorso sulla stratificazione plurima di interventi umani che (…) hanno determinato profondi cambiamenti nella funzione e destinazione.”

In altri termini, anziché dire “cosa potrebbe essere” la Gurfa di Alia nel suo complesso (come finora pare abbia fatto una buona parte degli studiosi che con essa si sono cimentati), sarebbe indispensabile provare ad individuare le manomissioni e le possibili modifiche di destinazione apportate nel corso dei secoli dai molti utilizzatori, vissuti in epoche e in ambiti culturali diversi. Le domande a cui rispondere in effetti dovrebbero essere questa: “cosa può essere stata in origine, La Gurfa di Alia? Quali manomissioni, e trasformazioni ha subito, in oltre trenta secoli di uso umano ininterrotto?

Ipotesi di ricostruzione stratigrafica delle modifiche successive alla realizzazione della grande thòlos ipogea.

Allo stato dei dati e delle conoscenze, oggi è ovviamente impossibile ricostruire il flusso temporale continuo dei fatti avvenuti lungo un arco di oltre trenta secoli. Per il sito della Gurfa sono però note, e per quanto riguarda l’ultimo millennio anche sufficientemente documentate, alcune importanti fasi storiche.

Ulteriori elementi di indagine sono forniti dall’esame delle forme architettoniche che nei locali ipogei del livello superiore, ad esempio, presentano una impronta tipicamente medievale (ampie finestre, con evidenti resti di sedute laterali, presenza di grandi camini).

Fig. 5 Uno degli ambienti ipogei del livello superiore, di epoca medievale

Inoltre, l’esame delle superfici lavorate all’interno dei vari ambienti evidenzia zone dotate di una certa omogeneità mentre, in altri casi, vi sono evidenti differenze nella “tessitura” delle impronte di scavo di alcuni degli ipogei rispetto ad altri, e in qualche caso anche all’interno di uno stesso ambiente. Tali aspetti riguardano: direzione, dimensioni, densità per metro quadrato, profondità e inclinazione delle impronte dei segni di scavo, ma anche il loro stato di usura e il grado di incrostazione da nerofumo, o la presenza di licheni nelle parti più esposte alla luce diurna. Durante gli studi condotti, è stato possibile fare comparazioni con manufatti edilizi locali di epoca nota, realizzati con blocchi lavorati di arenaria identica a quella del massiccio della Gurfa (Ferrara, 2021/2022). Per datare la realizzazione degli ipogei del livello superiore è inoltre possibile individuare, seppure in modo empirico, un periodo compreso nell’arco di alcuni secoli a cavallo dell’anno 1000 d.C. confrontando il grado di usura della parte concava dei gradini esterni intagliati nella roccia, utilizzati ancora oggi per l’accesso alle stanze del livello superiore, con una scritta incisa nel 1879 da un certo Tassoni, un militare appartenente ad una brigata dell’esercito Sabaudo osta a presidio del territorio per contrastare il fenomeno del brigantaggio.

Fig. 6  In alto: esempi di comparazioni con manufatti di epoca nota realizzati con roccia arenaria. 

In basso: valutazione empirica della datazione effettuata comparando il livello di usura dei gradini esterni con il grado di consumo di una scritta a pavimento incisa in data certa (1879).

L’insieme di tali osservazioni architettoniche e fisiche permette di ipotizzare le fasi di una datazione “relativa”, ossia di individuare un probabile “prima” e un “dopo” nella successione cronologica delle fasi di realizzazione degli ipogei (vedi tabella Fig.7).

Le modifiche più rilevanti del complesso della Gurfa sembrano concentrarsi nei secoli a cavallo dell’anno 1000 d.C.

Sembra comunque possibile ipotizzare che, nei moltissimi secoli precedenti, su un originario scosceso pendio roccioso poi manomesso esistessero alcune cavità oggi scomparse, come ad esempio alcune tombe a grotticella, e perfino dei vani più ampi facenti parte di importanti “pertinenze” protostoriche poste in relazione grande vano ipogeo tholoidale oggetto del presente studio. Quest’ultima considerazione lascia aperte alcune ipotesi molto interessanti formulate in molti anni di studio dal Prof. Carmelo Montagna. Secondo il suddetto studioso, in estrema sintesi, adiacente alla thòlos sarebbe esistito un edificio ipogeo destinato alla figura del Minos, ossia alla figura regnante che ogni nove anni, attraverso una complessa serie di rituali, veniva confermata o sostituita. Rimando ai vari testi del prof. Montagna chi volesse approfondire, e in particolare agli atti del 3° convegno di studi sulla Thòlos della Gurfa.

Il periodo più documentato, durato circa due secoli, è legato all’atto di concessione del feudo della Gurfa ai Cavalieri Teutonici da parte dell’imperatore Federico II. Essi vi realizzarono una loro delle loro sedi adattando le stanze ipogee e creando così un piccolo castello feudale ipogeo. I Teutonici riservarono anche uno spazio ad uso “hospitale”, si trattava certamente di un ospizio caritatevole destinato all’assistenza dei confratelli molto anziani o gravemente malati. Al loro arrivo, nel 1219, i Teutonici dovettero trovare già quasi pronto, solo da adattare ed ampliare, un insediamento ipogeo arabo che era stato usato per oltre due secoli, a partire dalla metà del IX secolo d.C. con una certa continuità fino all’epoca normanna. A loro volta gli arabi, molto probabilmente avevano già adattato ed utilizzato pochi vani ipogei di epoca bizantina risalenti al VI-VII sec. d.C., forse ricavati modificando sepolture preistoriche o altri vani ipogei preesistenti, situazione piuttosto frequente in altri siti rupestri della Sicilia (ad es. Pantalica).

Bisogna in ogni caso tenere presente che in un complesso rupestre come la Gurfa, ricavato all’interno di un massiccio compatto di arenaria, ogni nuovo “apporto culturale” legato a necessità ed usi diversi dai precedenti ha sicuramente comportato un corrispondente “asporto materiale”, per le necessarie modifiche ed ampliamenti. Ne è derivata la particolare struttura attuale, effetto della stratificazione di molteplici usi e riusi. Trattandosi di modifiche ottenute per asportazione di roccia, oggi ovviamente è visibile solo l’ultimo intervento in ordine di tempo. Della originaria cavità megalitica ogivale realizzata in epoca protostorica, rimane pressoché intatta la parte sommitale e buona parte della restante superficie concava interna più lontana dall’accesso, in cui è ancora chiaramente percepibile la curvatura interna tipica delle thòlos ipogee.

Fig. 7. Comparando tale cronologia relativa con le fasi storiche documentate sopra accennate, è stato possibile formulare una prima sommaria ipotesi che, per brevità, si può sintetizzare nella precedente tabella (Ferrara, 2021/2022). Nella riga inferiore della tabella, il tratto nero in pianta segna la posizione di un muro portante di una costruzione medievale interna, oggi scomparsa.

Una foto in bianco e nero scattata  a metà degli anni ’70 con punto di ripresa dall’oculo sommitale documenta gli ultimi resti di un muro portante costruito in pietra locale scarsamente legata da impasti di argilla e paglia, riguardante una antica costruzione interna. Tale muro era posizionato circa diametralmente sulla pavimentazione del megalitico ambiente tholoidale. E’ evidente che dovette trattarsi di un intervento di adattamento molto successivo alla escavazione della thòlos.

Fig. 8. Il grande vano campaniforme visto dall’oculo sommitale. Si notano i resti dell’antico muro della costruzione interna. Foto del 1976, v. pag.5 del  “Notiziario Archeologico Soprintendenza di Palermo” n. 20/2017.

 

 

 

 

 

 

Fig. 9. Relazione fra i livelli della antica casa interna e la quota delle stanze ipogee del livello superiore.

NB: Il calco in scala a destra nella figura è stato realizzato anni fa dall’ing. Villa con una stampante grafica, e si trova ad Alia, presso il piccolo museo locale. A sua volta la realizzazione di questo modello tridimensionale è basata sugli accuratissimi rilievi eseguiti nei primi anni 2000 dagli architetti Pietro Marescalchi e Monica Modica, della Facoltà di Architettura dell’Università di Palermo

Nella parte sinistra della Fig. 9 si notano i fori di appoggio delle grosse travi di legno di solai e le impronte di rampe di scale e di pianerottoli ai vari livelli della citata costruzione medievale interna. E’ evidente il maggior annerimento di questa sola porzione, dovuto a secoli di uso di un grande camino e di bracieri in spazi confinati. In merito all’esistenza di questa antica costruzione interna, incastonata scavando una porzione verso sud ovest della originaria parete del megalitico vano tholoidale (di cui occupava quasi metà volume), ho trovato un solo accenno in una pubblicazione dei primi del ‘900 dello studioso aliese Ciro Leone Cardinale, il quale così descriveva l’ipogeo campaniforme nel 1907:

Questa splendida moschea, in cui non si sa se ammirare più l’arte impeccabile dello sviluppo delle curve o l’immane lavoro costato, oggi purtroppo rovinata dall’uomo, che, dividendola in diverse sezioni, ha creduto di destinarla ad uso di stalla, di pagliera e di granaio, per la sua forma speciale e per l’epoca antichissima a cui si fa rimontare il casamento, pare un tempio, che la fantasia di alcuno immaginò dedicato al dio Sole”.

L’esistenza dell’edificio medievale interno è altresì confermata da alcune testimonianze verbali di persone anziane (compreso il sottoscritto, che ha potuto osservare di persona gli ultimi resti del muro in elevazione e delle antiche travi crollate intorno alla metà degli anni ’60 del secolo scorso).

Viste le caratteristiche della finestra e la presenza del camino, lo scomparso edificio interno alla thòlos può verosimilmente attribuirsi ad epoca medievale, riferibile probabilmente al periodo di uso dei Cavalieri Teutonici (1219 – 1400 circa).

  • Al Livello 1 segnalo una concavità che circonda il varco di ingresso, su cui mi soffermerò fra poco.
  • Al Livello 2 esisteva una stanza ampia dotata di camino; in base ad affidabili testimonianze orali, è certo che sia stata utilizzata come camera da letto almeno fino agli anni ’70 del XIX secolo d.C.
  • Il Livello 3 è complanare alle quattro stanze del livello superiore, a cui oggi invece si può accedere solo dall’esterno.
  • I fori più piccoli del Livello 4 fanno pensare ad arcarecci che giustificano l’ipotesi di un tetto a falda inclinata, mentre la modifica locale della perfetta curvatura ogivale originaria, visibile immediatamente sopra i fori di appoggio degli arcarecci, si può spiegare con la necessità di spezzare eventuali colature di acqua meteorica lungo la volta, un efficace gocciolatoio.

E’ opportuno soffermarsi su un dettaglio del livello 1: la concavità ancora ben visibile attorno al varco di ingresso suggerisce l’ipotesi di una preesistente sepoltura a thòlos con pianta ovale, di cui è rimasta attualmente presente circa una metà, proprio a causa del citato sventramento eseguito nel medioevo, necessario per incastonare internamente la costruzione muraria appena descritta (Fig.10).

Fig. 10. Dettaglio importante del livello 1.

Forma e dimensioni della parte concava ben evidenziata grazie alle condizioni di luce al momento della ripresa di questa fotografia, sono altamente compatibili con l’ipotesi della preesistenza di una tomba a thòlos con pianta ovale ed altezza in apice di circa quattro metri. La situazione attuale non permette più di rilevare la eventuale presenza in passato di uno “scodellino” rovesciato in apice, ma nemmeno di escluderla con certezza.

 

Fig. 11. Sulla base degli indizi esaminati, si possono virtualmente ricollocare le parti di arenaria rimosse nei secoli, ottenendo planimetricamente (v. parte inferiore della figura) la ricostruzione del layout originario secondo l’ipotesi qui descritta.

All’esterno, osservando la morfologia attuale del rilievo subito a est e a ovest dell’accesso, alcuni elementi (fra cui la presenza di una emergenza rocciosa isolata a est e la particolare sagomatura della roccia  a ovest, proprio accanto alla scaletta in ferro usata oggi per accedere al livello superiore), consentono di ipotizzare che anche la morfologia esterna sia stata profondamente modificata nel corso dei secoli. Osservando le tracce e i riscontri morfologici ancora visibili, si può infatti ragionevolmente ritenere che, originariamente, l’area esterna fosse delimitata da due pareti rocciose divergenti verso Sud Ovest che iniziavano ai lati dell’accesso al vasto ambiente campaniforme.

Esse pertanto dovevano formare un imponente dromos roccioso probabilmente naturale, abbastanza simile a quello presente in alcune sepolture ipogee del II millennio a.C. (cfr. figure 11 e 13)

Sembra quindi lecito ipotizzare che, alle sue origini, il vasto ambiente ipogeo presentasse una perfetta forma ogivale o tholoidale (Fig.12), e che fosse preceduto da un vestibolo tholoidale a pianta ovale alto circa quattro metri, di cui circa metà è ancora chiaramente percepibile sul posto.

Fig. 12. Rappresentazione grafica di un paraboloide. E’ una figura geometria tridimensionale a doppia curvatura ed asse di simmetria verticale che può costituire un modello matematico della conformazione originaria della grandiosa thòlos della Gurfa di Alia. Matematicamente la parabola di base, che ruotando traccia il paraboloide, è genericamente rappresentabile con una formulazione del genere: y = ax² + bx + c.

Fig.13. Ricostruzione virtuale di una delle due pareti rocciose dell’ampio dromos presente in epoca protostorica, secondo le ipotesi descritte in questo articolo. Dei due lati del dromos, in pianta divergenti con asse mediano rivolto a Sud Ovest, questa era la probabile sagoma della parete lato Est.

Gli assi delle due aperture di accesso erano disposti molto probabilmente su una unica linea retta, passante esattamente per il centro della originaria base di forma circolare, similmente a quanto si riscontra nelle tombe a thòlos di S. Angelo Muxaro e in altre simili sepolture ipogee (v. parte inferiore nella Fig. 11). Tale linea retta raggiunge l’orizzonte in un punto di azimut 225°, valore tuttora agevolmente verificabile in sito semplicemente allineando due punti: il centro della base originaria (sotto la verticale dell’oculo) e il punto mediano della soglia dell’attuale varco di accesso.

Ipotesi di carattere archeoastronomico. Implicazioni e considerazioni di carattere storico e antropologico.

L’assetto originale appena ipotizzato consente di immaginare un imponente adyton tholoidale, normalmente abbastanza buio e riparato. Le verifiche astronomiche condotte dallo scrivente dimostrano che, poche decine di minuti prima del tramonto dei giorni solstiziali di dicembre, quando il sole si trova in azimut 225°, il fascio di luce diretta penetra fino al centro del cerchio originario della base del grande ambiente ogivale con una inclinazione di circa 14°. Oltre che con la verifica dei dati astronomici, la penetrazione dei raggi solari appena descritta è stata fotografata sul posto (vd. parte sinistra della Fig.14). In presenza delle due aperture consecutive presenti nell’assetto originario sopra descritto, è più che lecito ipotizzare che poco prima del tramonto dei soli giorni solstiziali di dicembre, la luce solare ancora abbastanza forte penetrasse per un tempo molto breve fino all’interno del vasto adyton con inclinazione di 14° sull’orizzontale.

 

 

 

Fig. 14. Ricostruzione della breve eliofania interna che, poco prima del tramonto dei giorni solstiziali di dicembre, si verificava nell’assetto originario del tempio.

 

 Quando il raggio solare riusciva a superare entrambi i varchi consecutivi, all’interno dell’adyton si verificava una illuminazione breve ma molto intensa. Per una manciata di minuti la luce solare diretta penetrava senza ostacoli fino al centro della base della thòlos, originariamente circolare. Ciò avveniva solo ed esclusivamente nei pochi giorni solstiziali di dicembre, quindi una volta per ciascun anno solare, senza più manifestarsi fino al dicembre successivo.

In presenza di una situazione  di questo genere si ritiene lecito formulare interpretazioni ed ipotesi di carattere antropologico e storico, riguardanti aspetti rituali e religiosi legati al solstizio di dicembre. Si tratta di temi noti agli studiosi della materia, riferibili indubbiamente a una antica religiosità mediterranea intimamente connessa ai cicli agricoli e alla fecondità, pertanto in questa sede ritengo sufficiente accennare solo ad una possibile interpretazione simbolica della Gurfa che richiama, da una parte (vestibolo e thòlos) l’organo sessuale femminile, e dall’altra (penetrazione del raggio solare) un atto sessuale destinato alla fecondazione della Madre Terra da parte del dio Sole.

A supporto delle ipotesi appena esposte è forse opportuno sottolineare che sono stati esaminati tre elementi obiettivi di carattere scientifico, verificabili da terzi in qualsiasi momento, ossia:

  1. la compatibilità geologica e architettonica dell’ipotesi di esistenza di un antico vestibolo, e quindi:
  2. la compatibilità astronomica e architettonica del breve fenomeno luminoso solstiziale interno descritto;
  3. la plausibilità geomorfologica della ipotesi di presenza, in antico, di un dromos roccioso con pareti inclinate e divergenti verso Sud Ovest.

Per inquadrare meglio il contesto territoriale, è necessario citare la presenza di numerose tombe a grotticella, presenti sia nella parte più elevata del rilievo che in altre zone poco distanti, e di almeno una tomba a thòlos censita e classificata dal Tomasello nel 1997, la più occidentale fra quelle esaminate da questo studioso. Una probabile seconda tomba a thòlos, più ampia di quella censita dal Tomasello, quindi forse destinata a personaggi “di rango”, è proprio quella che, secondo le ipotesi qui esposte, venne riusata come vestibolo templare all’epoca della escavazione del megalitico ipogeo campaniforme (Ferrara, 2021-2022). Con necessaria prudenza, devo accennare anche a notizie insistentemente circolate nella zona, soprattutto intorno alla seconda metà del secolo scorso, di vari ritrovamenti casuali durante lavori agricoli eseguiti con mezzi meccanici, e di connessi scavi clandestini, riguardanti quantità indefinibili di reperti fittili e, almeno in parte, anche in bronzo.

Fig. 15. A sinistra, confronto di scala fra un area assai limitata in cui sono stati eseguiti pochi saggi  ufficiali nel 1988 e un paio di siti in cui in passato sono stati segnalati scavi archeologici clandestini. A destra, su una porzione ancora più ampia del territorio circostante la Gurfa di Alia sono indicate le posizioni di necropoli, tombe isolate e altri resti.

Infine, a pochi passi dal grande ambiente tholoidale, una emergenza rocciosa palesemente modificata da mano umana, permette di ipotizzare una installazione destinata alla individuazione del tramonto del solstizio di dicembre, recentemente analizzata e descritta in un separato articolo (Ferrara, 2023).

Riassumendo, sembra che siamo in presenza di alcuni degli elementi tipici di un insediamento protourbano del II millennio, perché abbiamo:

  • una posizione altimetrica dominante
  • una necropoli
  • una sorgente d’acqua presente verso est, a poche decine di metri dal monumento
  • posizione geografica prossima allo snodo di importanti percorsi fluviali e vallivi, che abbiamo visto all’inizio.

E’ vero che, almeno finora, non sono stati trovati reperti archeologici importanti o resti di capanne di un villaggio, ma questo non significa che non siano mai esistiti. Pochissimi saggi archeologici eseguiti nel 1988 (non più di sette) hanno riguardato un’area estremamente limitata immediatamente a ridosso del complesso rupestre, pari a circa duemila metri quadrati. Di contro, i diversi ritrovamenti casuali e gli scavi clandestini sopra accennati, sono stati segnalati in un territorio esteso almeno una decina di ettari attorno al monumento. Esaminando una superficie territoriale ancora più ampia, riguardante circa la metà orientale del territorio comunale, esiste almeno un’altra necropoli di tombe a grotticella, mentre in altre contrade esistono e sono ancora visibili alcune sepolture a fossa (Fig. 15).

Sembra pertanto opportuno ampliare ulteriormente, da un punto di vista storico-antropologico e geografico, l’orizzonte di osservazione. Sappiamo che la graduale espansione siciliana della tipologia tholoidale per tombe e ipogei di altro uso ha preso avvio da Thapsos, interessando progressivamente aree sempre più occidentali dell’isola, fondendosi e mescolandosi poi gradualmente con le culture preesistenti, come ad esempio quella detta del bicchiere campaniforme di probabile origine iberica. Fonti autorevoli ci dicono inoltre che intorno al XIII secolo a.C. a causa dell’arrivo di nuove popolazioni vi fu in Sicilia un periodo molto critico a causa di nuove e sconvolgenti condizioni politiche ed economiche dovute all’arrivo di nuove popolazioni provenienti dalla penisola ((Ausoni, Siculi, Morgeti ed Elimi).  In questa fase il processo di proto urbanizzazione si è gradualmente spostato verso l’interno, mentre si riducevano drasticamente, fino a cessare del tutto, i contatti con le popolazioni egeo micenee  (Tusa S. 1993, Castellana G. 2021).

Altro aspetto storicamente certo in questa fase storica, è l’esistenza di disuguaglianze sociali con presenza di una classe elitaria dotata di potere, naturale evoluzione delle leadership sociali e religiose nate molto tempo prima. Si è inoltre ipotizzato, a cavallo del III e del II millennio a.C. l’avvio di un processo di progressiva gerarchizzazione del territorio, diviso in “regni” dominati da centri egemoni (Tusa S. 1993). Questi aggregazioni sociali sono interpretabili come “Chiefdom”, un tipo di aggregazione protostatale ormai scomparsa nel mondo moderno. Fra i siti interpretabili come centri egemoni di Chiefdoms, alcuni studiosi hanno individuato ad esempio Caltagirone, Sabbucina, Pantalica e Mokarta (Albanese Procelli, 2003).

Ipotesi conclusive circa la originaria funzione del megalitico vano ipogeo tholoidale della Gurfa di Alia. Considerazioni sui possibili futuri indirizzi della ricerca.

A questo punto possiamo provare a tirare le somme,  mettendo in correlazione tutti gli indizi, le ipotesi e le considerazioni fin qui esposte, ossia:

  • l’assetto originario (dimensioni imponenti, forma tholoidale, presenza di un vestibolo, eliofania solstiziale interna) e la probabile situazione di proto urbanizzazione nel limitrofo contesto territoriale (presenza di necropoli, notizie di reperti asportati clandestinamente),
  • l’orizzonte culturale del periodo (tutti gli indizi portano al II millennio a.C.),
  • le altre considerazioni storiche e antropologiche accennate.

Sembra lecito chiedersi se il megalitico vano ipogeo della Gurfa di Alia e le sue probabili pertinenze esterne, (oggi distrutte, o di cui forse non sono stati ancora scoperti gli ultimi resti) possano essere considerate come le principali strutture di un CENTRO EGEMONE  di una chiefdom sviluppatasi intorno al XIII secolo a.C.  Oltre a possibili comparazioni con siti più o meno coevi, ad oggi studiati e analizzati in modo più approfondito, al fine di comprendere le possibili funzioni di una proto-città egemone di una Chiefdom del II millennio a.C., in assenza di reperti recanti iscrizioni o altri simboli decifrabili, è possibile tentare comparazioni anche sulla scorta di studi etnici e antropologici riferiti ad aggregazioni umane simili, giunte quasi fino ai tempi moderni, ad esempio quelle studiate durante le molte esplorazioni del 18°, e 19° secolo (Frangipane M. 2023). Nella elencazione che segue, alcuni elementi in effetti non dovrebbero costituire una sorpresa. L’ipotesi di un uso templare di un siffatto ipogeo megalitico è infatti altamente plausibile. E’ ovviamente possibile pensare anche ad una sede di aggregazione sociale (si pensi al grande spazio davanti al tempio, delimitato da un imponente dromos roccioso) e alla probabile limitrofa presenza, all’esterno, oppure in vani ipogei vicini ampliati e modificati nei secoli successivi, di altre funzioni sociali, fra cui quella di magazzini per la raccolta, la conservazione e la distribuzione delle sovrapproduzioni agricole. Meno immediato, ma altrettanto plausibile in una Chiefdom dell’epoca, è pensare ad una sede per la gestione e risoluzione di conflitti interni alla comunità, come anche al governo ed organizzazione di attività di tipo commerciale, necessarie per procurarsi metalli e altro, probabilmente in cambio di sale e di zolfo (le antiche cave della zona di Lercara e gli altri antichi siti minerari lungo l’asse del fiume Platani non sono molto distanti).

Conclusioni

Le osservazioni e rilievi descritti sono quelli limitati di uno studioso privato che non può e non deve interferire fisicamente con il monumento. Credo però che la Gurfa di Alia meriti studi ben più approfonditi e opportune analisi scientifiche, da svolgere con mezzi più adeguati in un contesto multidisciplinare. Oltre ad alcune proposte recentemente rese note alle istituzioni competenti (vedi nota finale) in questa sede aggiungerei:

  • Studio del territorio circostante con tecniche moderne (aerofotogrammetria all’infrarosso, uso di droni, georadar, magnetometri, ecc.) per individuare zone su cui sia opportuno eseguire nuovi saggi ed eventuali ricerche archeologiche.
  • Approfondimento degli aspetti archeoastronomici qui ipotizzati.

Quanto precede è il contributo volontario di uno studioso indipendente che in questa sede, certamente più adatta di altre, ha condiviso una nuova inedita ipotesi interpretativa, si spera utile a fare qualche passo avanti per sciogliere l’enigma della Gurfa di Alia. L’obiettivo più importante di questo lavoro resta comunque l’auspicio di una consapevolezza più diffusa, a tutti i livelli, della reale importanza di un reperto di queste caratteristiche e dimensioni, con le possibili conseguenze positive derivanti dal riconoscimento del suo valore all’interno del patrimonio storico e culturale siciliano.

Giovanni Ferrara

Note bibliografiche

Albanese Procelli R.M. – Sicani, siculi ed elimi, forme di identità, modi di contatto e processi di trasformazione, Longanesi, 2003.

AA.VV. – Trattato di antropologia del sacro diretto da J.Ries, volume 3 – Le civiltà del mediterraneo e il sacro –  Ed.Massimo sas, Milano, 1992

Bernabò Brea L., – La Sicilia prima dei Greci, 1958 Il Saggiatore, rist.2016

Castellana G. – La Sicilia nel tardo bronzo, genti culture risorse e commerci. Ed. Villaggio Letterario, 2021.

Cultraro M. – Le grotte della Gurfa: appunti per una archeologia del paesaggio, in Terra e luce. Dalla Gurfa al Rodhen Crater di James Turrell, Ed. Skira, Ginevra-Milano, 2009, pp.87÷91.

Ferrara G.– La Gurfa dei Misteri – Vita ultramillenaria di una thòlos mediterranea – (Nuova edizione 2022 integrata con ulteriori rilievi e studi – Independently published – ISBN 9798727076040)

Ferrara G. – Un probabile indicatore solstiziale alla Gurfa di Alia, 2023. Articolo pubblicato su Esperonews.it in data 02/09/2023, consultabile in: https://www.esperonews.it/20230902105440/categoria-a-f/alia/probabile-indicatore-solstiziale-alla-gurfa-di-alia/

Frangipane, M. – Un frammento alla volta. Dieci lezioni dall’archeologia. Ed. il Mulino, 2023.

Leone Cardinale C. – “Alia”, monografia tratta dal Dizionario illustrato dei Comuni siciliani, a cura di F.Nicotra, Palermo, 1907, pp.243-279 (Ristampa a cura del Comune di Alia, 2021).

Mannino G., Runfola M., Di Carlo E. – Alia, evidenze archeologiche nel territorio. Pubblicazione a cura degli autori grazie ai contributi della Presidenza dell’ARS e di ERRIPA Centro studi Achille Grandi, 2020.

Mercadante F. – La Sicilia e il megalitismo. Codice morfologico megalitico della Sicilia. Edizioni del Mirto, 2021.

Mongitore A. – Monumenta Historica Sacrae Domus Mansionis SS.Trinitatis. Palermo, 1722

Montagna C. (a cura di) – Sulle tracce di Minosse – Luoghi, sacralità e misteri – Atti del 3°Convegno di Studi sulla Thòlos della Gurfa. Alia 3 luglio 2004.

Paterna C. – Miti mediterranei della Grande Madre, 2018, file pdf disponibile al seguente indirizzo web: https://www.academia.edu/43219333/MITI_MEDITERRANEI_DELLA_GRANDE_MADRE

Tomasello F. – Le tombe a thòlos della Sicilia centro meridionale – Consiglio nazionale delle ricerche, Centro di studio sulla archeologia greca, 1997

Tusa S. – La Sicilia nella preistoria. Sellerio Editore, Palermo 1993.

Nota finale G. Ferrara 2021-2022. In sintesi le idee ivi proposte: analisi C14 su strati parietali di nerofumo e frammenti lignei incastonati nell’arenaria; studio della lichenometria in punti di campionamento opportunamente scelti; analisi più estese e sistematiche degli innumerevoli segni degli strumenti di scavo, da condurre con eventuale ausilio di adeguati mezzi tecnologici di tipo ottico e informatico e parallela comparazioni sia con altri ipogei ritenuti coevi, che con reperti riguardanti attrezzi e strumenti di lavoro disponibili nei musei archeologici siciliani.