Howard Carter era un brillante archeologo inglese, con una smisurata passione per l’egittologia. Ovviamente non poteva che trovarsi nella Valle dei Re, in Egitto, con la convinzione assoluta che in quella vasta area ci fosse ancora da scoprire la tomba del misterioso faraone Tutankhamon, il giovane Dio-Monarca assassinato a 19 anni per motivi politici e dinastici. Di lui, peraltro, non esistevano tracce, perché erano state del tutto cancellate dal suo successore. Persino il suo nome era stato cancellato da tutti i documenti ufficiali.
Ma le missioni archeologiche costano, e Carter aveva trovato un generoso finanziatore, in George Edward Stanhope Molyneux Herbert V, Conte di Carnavon (lord Carnavon per abbreviare…). Ricchissimo, collezionista d’arte ed appassionato anch’egli di egittologia, si era recato in Egitto nel 1907 per realizzare campagne di scavo, mediante le quali, peraltro, aumentare la sua già cospicua collezione. Ma aveva bisogno di un sostegno scientifico e professionale e fu così che su consiglio di Gaston Maspero, conobbe Howard Carter che in quel periodo sembrava, come si dice, girare a vuoto. Da questa conoscenza nacque una sincera amicizia e Carnavon decise di finanziare gli scavi di Carter, allora impegnato a Tebe. Ne ricavò cospicua mole di reperti, ma Howard Carter continuava ad essere ossessionato dalla ricerca delle tombe di Amenhotep IV (famoso per aver imposto una vera rivoluzione religiosa) e soprattutto da Tutankamon. Riuscì pertanto a convincere il facoltoso e nobile amico a finanziare una campagna di scavi che avesse solo queste finalità. Lord Carnavon accettò, ottenne una concessione governativa (la concezione era stata precedentemente data ad un altro archeologo: Theodore Davis) e così, nel 1917 iniziarono gli scavi.
Ma dopo cinque anni di lavoro Carter non aveva ancora cavato un ragno dal buco, come si dice. Della tomba del faraone ragazzino non s’era trovata traccia. Le spese nel frattempo erano diventate enormi, tanto che il buon Lord Carnavon nell’agosto del 1922 comunicò all’amico Carter che la ricerca si concludeva lì. Ma Carter era talmente convinto di riuscire a trovare la tomba del Faraone da riuscire a convincere il suo mecenate a finanziare un’altra stagione di scavi, visto che era rimasta ancora un settore dell’area da esplorare.
Il 3 novembre 1922 ripresero i lavori. Ma Carter aveva stavolta ragione: già al secondo giorno di scavo trovarono uno scalino che sembrava essere il primo di una scala di accesso ad una tomba sconosciuta sepolta dalla sabbia: era quella di Tutankamon, che si sarebbe rivelata meravigliosamente conservata e ricchissima di preziosi reperti archeologici.
Giunti, dopo averlo liberato dalla sabbia ed avere abbattuto un primo muro di protezione, trovarono l’ingresso della tomba con incisa una misteriosa iscrizione: “La morte sfiorerà con le sue ali chiunque disturberà il Faraone”. Nessuno ci badò. Le iscrizioni rituali o celebrative erano frequenti nelle tombe dell’Antico Egitto.
Il giornalista francese Guy Claisse, un esperto di affari egiziani (peraltro era stato per qualche tempo a Suez) descrisse in modo appassionato i momenti ‘forti’ della giornata della scoperta: “La mattina del 25 novembre Carter e Lord Carnavon scendono per la prima volta i sedici gradini che conducono all’ingresso della tomba di Tutankhamon. Percorrono, dopo aver abbattuto la prima porta, il corridoio che Carter aveva illuminato, con una torcia elettrica, qualche giorno prima… il suolo è cosparso di vasellame e coppe di alabastro ridotte in pezzi. La presenza di questi cocci dimostra che la tomba è già stata visitata… il 26 novembre arrivano davanti alla seconda porta, che viene bucata… Carter allarga il foro, vi infila la sua lampada elettrica e, trattenendo il respiro, guarda all’interno. Dapprima non vede niente, solo una massa di polvere, poi, dalla penombra, emergono delle forme, e riflessi d’oro brillano qua e là… Lord Carnavon gli chiede: vedete qualcosa? Carter è pallido; risponde con voce roca, emozionatissimo: vedo cose meravigliose…”. Una meraviglia che aveva fatto dimenticare a Carter la misteriosa iscrizione. Ma cominciarono anche fatti insoliti. Carter scoprì che il suo canarino era stato ucciso da un cobra. Nella religione egizia il cobra era l’animale simbolo del Dio che era posto a difesa delle tombe, compresa quella che egli aveva profanato.
Non si sa come, la notizia – in effetti insolita – venne all’orecchio di una scrittrice, che suggerì che quello strano evento fosse il segno della maledizione di Tutankamon. Anche Lord Carnavon, nel marzo 1923 cominciò ad accusare strani malesseri. Continuava a seguire i lavori nella Valle dei Re, ma non si sentiva molto in forma. Era stato punto da una zanzara mentre si rasava, e portava una vistosa medicazione sulla guancia. La ferita era suppurata e Carnavon stava male: si sentiva debole, avvertiva nausea, era soggetto a ripetuti svenimenti e soffriva il caldo, al quale, peraltro, avrebbe dovuto ormai essersi abituato. All’amico e collega Carter confida: «Bisogna che consulti un medico». Non ne ebbe il tempo. Il 27 marzo ebbe una sincope mentre lavorava all’interno della piramide. Portato d’urgenza nel suo appartamento al Cairo cominciò a delirare. Il medico diagnosticò una congestione polmonare, e nei giorni seguenti l’archeologo inglese continuò a peggiorare: incubi, febbre alta, che poi si abbassava repentinamente per tornare a salire. I medici erano impotenti. Lord Carnavon morirà il 4 aprile 1925.
La leggenda vuole che in quello momento la stessa città del Cairo fosse colpita in quel momento da un blackout; in Inghilterra, Susie, il cane di Lord Carnarvon iniziò a ululare e morì nello stesso istante del suo padrone. Le parole di Mari Corelli vennero così riprese da tutta la stampa del mondo. Nel 1923 Le Figaro affermava: “L’uomo che ha scoperto la tomba del faraone Tutankamen è stato vittima delle divinità sotterranee. Lord Carnavon è morto. Così si avverano le minacce dei grandi sacerdoti egizi contro i profanatori dei morti”.
Il problema è che, con Carnavon, sembra aprirsi anche la catena delle morti misteriose legate alla scoperta della tomba del giovane faraone e del suo ricchissimo tesoro. É una serie impressionante di morti: l’archeologo canadese Le Fleur, giunto al Cairo nel marzo 1923, muore poche settimane dopo presentando lo stesso “quadro clinico” di Carnavon. Arthur Place, che aveva contribuito ad abbattere il muro della camera mortuaria del faraone, poco dopo la morte di Carnavon comincia a sentirsi progressivamente sempre più debole, perde facilmente conoscenza e finirà per morire nello stesso albergo nel quale si era spento Carnavon. La lista dei decessi è lunghissima: Il miliardario americano Jay Gould, che ha assistito ai lavori di scavo, è colto anch’egli da febbre violentissima e deliri e muore. Qualcuno si lascia prendere da una profonda depressione e si suicida, ma gli altri muoiono tutti nello stesso, misterioso modo: febbre, debolezza estrema, deliri, incubi: dal 1923 a1 1935 muoiono ben ventisette persone.
Il ventisettesimo è James Breadstead, dell’Università di Chicago, che aveva soggiornato a lungo nella tomba. Il figlio Charles, che lo assisté a lungo nella malattia, ne descrisse i sintomi: “Ogni notte compariva la febbre. Aveva mal di gola, era preso da tremiti e aveva l’impressione in certi momenti, che il suo sangue bruciasse nelle vene e che la testa scoppiasse, come colpita da colpi di martello”. Arrivò a supporre che si trattasse di malaria, ma gli esami risultarono negativi e il chinino inefficace. Breadstead morì, come gli altri. D’altra parte gli archeologi erano stati avvertiti dai Mullah egiziani, e tutti, in seguito a questa catena di decessi, ricordarono con terrore l’iscrizione trovata nell’anticamera della tomba: «La morte sfiorerà con le sue ali chiunque disturberà il sonno del re». La maledizione di Tutankhamen aveva colpito i profanatori del suo sepolcro. Sin qui la leggenda. E la scienza?
Purtroppo la scienza è nemica delle leggende e, anche a costo di essere spoetizzante, deve analizzare anche i fatti più strani e inquietanti con razionalità. In realtà, a fronte di questa fantasiosa interpretazione, ne esiste un’altra, che attribuisce la catena di decessi a qualcosa di molto più banale: un semplice, microscopico fungo. Si chiama Histoplasma capsulatum, e appartiene alla famiglia delle histoplasmacee, alla quale appartengono tre specie distinte: una è patogena per l’uomo, le altre per i topi ed i cavalli. Nell’uomo questo micete causa la malattia nota come istoplasmosi. Il fungo microscopico è spesso veicolato dai pipistrelli che vivono in ambienti umidi e bui; è in tali ambienti infatti che il micete si annida e può colpire l’uomo per semplice inalazione dell’aria infetta dalle spore. La malattia rappresenta infatti una vera patologia professionale per gli archeologi e gli speleologi. L’ istoplasmosi può presentarsi con due diversi quadri clinici. Il primo è quello dell’istoplasmosi polmonare: i malati hanno qualche modesto sintomo bronchitico, si sentono deboli, debilitati, perdono peso. La forma più pericolosa, talvolta culminante, è quella «sistemica» e gli ammalati perdono peso, presentano turbe del sonno, abitazione psicomotoria, febbre continua o intermittente, talvolta noduli sulla pelle soggetti a ulcerazione. Il sistema cardiocircolatorio è compromesso da tachicardia, diminuzione cospicua della pressione arteriosa, anemia. Mentre la forma polmonare è abbastanza lieve, la forma sistemica è molto spesso letale.
Questa malattia non era ancora nota negli anni ’20, quando cioè Carnavon e gli altri suoi collaboratori si avventurarono nella piramide di Tutankhamen; e basta dare una scorsa ai sintomi riferiti per poter ipotizzare con ragionevolezza che l’équipe di archeologi penetrato all’interno della tomba nella Valle dei Re abbiano contratto proprio questa infezione. Tutt’ora si tratta di una malattia con prognosi grave, ma negli anni in cui la «maledizione» di Tutankhamen falciò le fila degli scopritori del sepolcro, si trattava di una patologia ancora sconosciuta. Oggi Lord Carnavon e i suoi colleghi avrebbero potuto essere efficacemente curati. Ma allora le cose stavano diversamente, e tanto diffusa era la convinzione che la maledizione di Tutankhamon agisse ineluttabilmente che preferirono impiccarsi — pur stando bene — per sfuggirle. Certo, qualcosa da spiegare resta. Per esempio, la strana suscettibilità alla superstizione di uomini di scienza anche illustri, e, tutto sommato, il fatto che il fascino del mistero resta il carburante fondamentale della ricerca scientifica.
Giovanni Iannuzzo