Il mio interesse per la “materia” di quelle “strane grotte” è molto antico; posso dire che appartiene al “sempre” e risale almeno al 1977, con la collaborazione volontaria da studente di Architettura alla promozione degli scavi ed all’allestimento del Museo Archeologico di Marianopoli, con la “scoperta” degli studi ancora da svolgere per la protostoria dei luoghi, di quella che nel 1958 L. Bernabò-Brea chiamò La Sicilia prima dei Greci. In questo contesto di ricerca incontrai gli Ipogei della Gurfa e da allora me ne sto occupando, per evitare di contribuire a sbagliare storia, come imparai da Giovanni Cantoni; perché quando si sbaglia storia, poi si sbaglia tutto il resto. Fra i pochi altri coraggiosi indagatori trovati per strada mi sono limitato a citare in queste “ricognizioni” solo quelli non più tra di noi: da Silvana Braida e Padre Benedetto Rocco, che non ho potuto conoscere, ai compianti amici/studiosi Pasquale Culotta, Primo Veneroso, Bent Parodi, Aurelio Pes, ed Alessandro Musco, che fu il più determinato e deciso nel sostenermi anche editorialmente. Persino la “benevola avversità” di Giovanni Mannino (1924-2021) mi è stata utile, per i suoi accalorati interventi contro tutti quelli, come Silvana Braida Padre Benedetto Rocco o per ultimo come me, che non sostenevano la posizione di “archeologia ufficiale” dell’ambiente in cui lavorava e si era formato come collaboratore e studioso autodidatta, a comprensibile copertura di “disattenzioni”, studi adeguati ed interventi alla Gurfa.
Giovanni Mannino (1924-2021)
Alle prime uscite dei miei interventi pubblici del 2004 su quel tema di controversa “protostoria e thòlos” mi individuò come, mi ripeteva, “valido elemento da convertire sulla retta via della fossa granaria medievale e da sottrarre alla compagnia di sprovveduti architetti e sognatori”; prima con l’ironia colta del vecchio conoscitore di uomini e cose che pone domande all’ultimo arrivato, per vedere “quanto e se ne sa dell’argomento”, come fece con l’intensa e corposa cordiale corrispondenza privata che posseggo, poi con contestazioni sempre più serrate nel dibattito sui social media e nelle sue ultime pubblicazioni sulla Gurfa. Raggiunse toni aspri contro qualsiasi altra ipotesi “revisionista” sulla Gurfa, ripetute in varie occasioni per pubblicazioni divulgative quasi “volantinate per il popolo”, che non fosse sostanzialmente questa: ” Il grande volume dell’ambiente a campana è stato ottenuto con l’abbassamento del fondo dell’antica fossa mediante uno sbancamento, meno impegnativo di quanto non si creda, perché la roccia è molto duttile, dopo che la fossa, da qualche tempo, era stata resa inutilizzabile dalle profonde lesioni verificatesi nelle pareti. Lo scopo fu quello di ricavarne una paglialora, in uso fino agli anni 50, e per ulteriore sfruttamento dello spazio furono costruiti tre soppalchi con travi e tavoloni di cui rimangono serie di buchi di appoggio delle travi. Non lontano della Gurfa, in contrada Montoni in territorio di Cammarata, in due affioramenti rocciosi si trovano altrettante fosse granarie, la maggiore è quasi identica, nella forma, a quella della Gurfa; anche questa ha lo scopo funerario, secondo Montagna. E’ evidente che i diversi ambienti che danno luogo al complesso monumento ipogeico della Gurfa datano ad epoche diverse. In fede delle fonti storiche, in qualche modo verificate da osservazioni dirette, riteniamo la fossa granaria, profonda una decina di metri, il primo manufatto, probabilmente realizzato in età islamica. Posteriore alla fossa di alcuni secoli la trasformazione della fossa in pagliarola con l’abbassamento del suolo e la contemporanea o successiva realizzazione delle tre camere ricordate da Tirrito. Seguono al primo piano la quarta camera ed il corridoio; poi, al piano terra, lo scavo della camera dal tetto a tenda e successivamente il corridoio per raggiungere la pagliarola. Riteniamo che il monumentale complesso ipogeico della Gurfa sia stato completato prima della costituzione del comune di Alia del 1615.”
(Da: G. Mannino-M. Runfola, Le fosse granarie di Alia, inserto in La Voce della Mamma, periodico locale di Alia, n° 2 – Luglio/Dicembre 2015, pp. I-VIII)
Ricostruzione secondo G. Mannino di quello che visitò e descrisse L. Tirrito nel 1873 alla Gurfa
(Da: G. Mannino-M. Runfola-E. Di Carlo, ALIA Evidenze archeologiche del territorio, 2020)
Altrove, nel 2016, ed in accesa polemica sul web (per sua iniziativa), fece un intervento molto critico sui miei studi. Arrivò ad affermare, scambiando quello che fu possibile visitare al Tirrito della Gurfa in quella sua rapida e fugace visita, con la realtà dell’impianto, che il “vano a tenda” o stalla fosse stato addirittura realizzato successivamente a quel resoconto del 1873 che Luigi Tirrito descrisse nel suo Sulla Città e Comarca di Castronuovo di Sicilia, di cui avevo ripubblicato nel 2007 stralci e figure dei “geroglifici” esterni nel mio Thòlos e Tridente, a cui largamente attinse.
(Disegni da: G.Mannino-M.Runfola-E-DiCarlo, ALIA Evidenze archeologiche del territorio, 2020)
In figura c’è la sintesi grafica della quale si fece portatore G. Mannino, forse ad opera di suoi collaboratori, contro la posizione di Mons. B. Rocco che aveva sostenuto la sostanziale sovrapponibilità, in pianta e sezione, fra il Tesoro di Atreo a Micene e la Gurfa di Alia. Per amore di verità scientifica va ammesso il risultato tecnicamente non smentibile: che quella sezione segnata in rosso è falsata nelle dimensioni, come successivamente è stato giustamente ripreso anche da Gianni Ferrara nelle sue indagini sulla Gurfa. Trattandosi di confronto con uso di diversa scala metrica, Mons. Rocco aveva centrato nel vero, con a seguire quelli che lo avevamo accreditato, sia pure con la “lieve licenza” di inversione della “cripta funeraria” quadrangolare del Tesoro di Atreo che si trova a destra rispetto all’ingresso dell’ambiente ogivale e non ha Oculus di sommità.
Per la non condivisione di quelle sue ultime posizioni, anche per difesa della serietà di ricerca di chi mi aveva preceduto ed in particolare S. Braida e B. Rocco, ci fu un serrato scambio pubblico di opinioni, sempre rispettose dello studioso stimato per tanti suoi altri meriti, che chiudevo così: “Con rinnovata e personale stima per Giovanni Mannino, polemica ‘gurfologica’ a parte, nell’attesa che si ricreda e prenda atto della reale natura dei problemi posti dalla complicata ‘questione della Gurfa’, disposto fin d’ora ad ammettere che alla Gurfa c’è un ‘Granaio dello Spirito’. Carmelo Montagna (13.2.2016)”.
Fu quello del 2016 l’ultimo sincero scambio di opinioni sul tema controverso di quelle attribuzioni ed il nostro rapporto rimase di stima reciproca, come era sempre stato. Al fondo del nostro “dibattito” restava un sentimento di affetto ed ammirazione reciproca, mai venuto meno e conservo fra le cose più care la dedica che mi volle scrivere in dono per il suo importante testo Guida alla preistoria del palermitano (2007), in un lungo pomeriggio di discussione a casa sua a Palermo nel 2009.
Posizione sulla Gurfa a parte, marginale rispetto al resto di opere nei suoi 70 anni di operatività, consapevole che le grandi personalità restano tali anche quando “sbagliano” (ovviamente a mio parere), condivido il giudizio complessivo sull’opera di Giovanni Mannino per come lo espresse l’amico comune Alfonso Lo Cascio nell’articolo di addio che gli dedicò proprio su Esperonews.it il 28.10.2021, a cui rimando e mi associo.
Carmelo Montagna