Che cos’è la salute mentale?

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Esistono pochissime nozioni, nella storia della scienza e del pensiero umano, incerte, vaghe, approssimative e improbabili come quella di salute mentale. La scienza, in effetti, si occupa di argomenti vaghi o anche estremamente complessi: pensiamo al concetto di “infinito”. Insieme a descrizioni generiche riesce però a fornire anche precise definizioni matematiche. Posso non comprendere bene, sul piano concettuale, cosa significhi “infinito”, ma lo posso descrivere, utilizzando il giusto formalismo matematico. Lo stesso avviene per definizioni di altra natura: l’idea di filosofia può non dirmi nulla e se vado a farne uno studio etimologico scopro che si tratterebbe semplicemente di un generico “amore per la cultura”. Però ho la possibilità di stabilire un ambito di riferimento, descrivendo per esempio la filosofia come la ricerca o la speculazione su una serie di argomenti molto specifici, quali i principi della conoscenza, la natura delle riflessioni sulla realtà, o i metodi per la comprensione del mondo. Sia nel caso della definizione di “infinito”,  sia in quello della definizione di “filosofia”, ho comunque la possibilità di “descrivere”, e quindi di tracciare un’ideale mappa di riferimento concettuale che mi guidi alla comprensione. Ho stabilito, insomma, un contesto all’interno del quale esercitare la mia capacità di riflessione o di critica. Ho stabilito delle regole, che saranno pure convenzionali, formali o quel che volete, ma che hanno in certo modo un valore assoluto, almeno nel contesto storico e sociale all’interno del quale vengono espresse e utilizzate.

Nel caso della salute mentale il discorso è diverso. Anzitutto, non si tratta di argomento che possa essere espresso in linguaggio matematico, bensì solo soggettivo ed esperienziale. Poi, ed è questo il problema fondamentale, la definizione ‘descrittiva’ della salute mentale è talmente vaga da non consentire l’identificazione di un ambito specifico. Tracciare una mappa è assolutamente impossibile; almeno quanto stabilire delle regole.

«La salute mentale», scrivono per esempio Hinsie e Campbell, «come d’altronde la salute fisica, è qualcosa di più di una semplice assenza di malattia. Si riferisce a uno stato di interezza e integrazione della personalità, soddisfacente adattamento emotivo, motivazionale e sociale all’ambiente e alle persone, libertà dal conflitto. La persona sana di mente ha un atteggiamento produttivo verso la vita e vive con interesse. La salute mentale è un problema che riguarda la sanità pubblica e le pratiche che la favoriscono sono un’attività lavorativa soddisfacente, una buona integrazione sociale e tutto ciò che favorisce nell’individuo la comprensione, l’espressione e la realizzazione del proprio sé. Salute e normalità non sono sinonimi, in quanto normale è chi rientra nella norma socialmente stabilita».

Sembrerebbe una definizione ineccepibile. Il fatto è che ci pone di fronte a problemi quasi insormontabili. Se fosse vero che la salute mentale, globalmente intesa, è la somma dei fattori che Hinsie e Campbell riportano, dovremmo trarre una serie di conclusioni:

1.l’assoluta maggioranza dei poeti, dei filosofi e dei più grandi uomini di scienza del mondo moderno dovrebbero essere folli scatenati, psicopatici, perversi socialmente pericolosi, da internare a vita in una clinica psichiatrica.

  1. l’assoluta maggioranza delle persone che incontriamo per strada, il giornalaio dell’angolo, il gestore del supermercato, il portinaio o quant’altro, sono persone che evidentemente non godono di salute mentale. Possono essere clinicamente malati (cioè esprimere sintomi) o meno, ma non sono splendidi esempi di equilibrio;

3.noi stessi siamo persone che non godono, tranne qualche eccezione, di ciò che viene definito ‘salute mentale.

Perché? Facciamo un esempio. Leggete questa lettera di un marito alla propria moglie, con la quale convive regolarmente e senza apparenti conflitti di sorta: «Ti atterrai alle seguenti regole: A: 1. i miei vestiti e biancheria dovranno essere tenuti in ordine; 2. dovranno essermi serviti regolarmente tre pasti al giorno, nella mia camera; 3. la mia camera e il mio studio devono sempre essere tenuti in ordine e la mia scrivania mai toccata da nessuno oltre me. B: rinuncerai a ogni relazione con me, oltre a quelle richieste per mantenere le apparenze in società. In particolare non chiederai: 1. che io passi il mio tempo con te a casa; 2. che io esca o viaggi con te. C: prometterai esplicitamente di osservare i seguenti punti: 1. non ti aspetterai affetto da me e non mi rimprovererai per questo; 2. devi rispondermi subito quando ti parlo; 3. devi lasciare immediatamente e senza protestare la mia stanza o il mio studio quando ti chiedo di andare; 4. prometterai di non denigrarmi agli occhi dei miei bambini, con parole o azioni».

Che se ne può pensare? Sembrerebbero le affermazioni di un individuo con gravi disturbi della personalità e sicuramente un altissimo grado di conflittualità relazionale e sessuale. Credo che di fronte a simili affermazioni sia abbastanza difficile pensare che la persona in oggetto sia “normale”. In effetti non lo è. Bene, il punto è che la persona che scrisse quella lettera si chiamava Albert Einstein. che di problemi relazionali doveva averne parecchi, visto che uno dei suoi figli lo odierà per sempre e l’altro finirà in manicomio. La lettera, del 1914, scritta alla moglie Mileva Marič ed esposta al Museo di Israele a Gerusalemme nel 1996, esprime semplicemente gli atteggiamenti di un uomo nei confronti della moglie e, in genere, del sesso femminile. Non a caso, forse, Einstein definiva il matrimonio «un’invenzione di un maiale senza fantasia». Certo non era un ottimo marito, né tantomeno un accanito femminista. Quando la moglie, fisico di talento anche lei (si erano conosciuti al Politecnico di Zurigo), decise di piantarlo andandosene da sola a Zurigo con i loro due figli, il commento di Albert fu assai esplicito: «Quando si tratta di voi donne il centro produttivo non è situato nel cervello». Uno psicopatico? I conti tornerebbero, in effetti, se l’anno successivo alla separazione lo “psicopatico” in questione non avesse pubblicato la Teoria della relatività generale.

Eppure Einstein stesso dava di se un giudizio abbastanza interessante: «Il mio ideale politico è l’ideale democratico, Ciascuno deve essere rispettato nella sua personalità e nessuno deve essere idolatrato. Per me l’elemento prezioso nell’ingranaggio dell’umanità non è lo Stato, ma è l’individuo creatore e sensibile, è insomma la personalità; è questa sola che crea il nobile e il sublime, mentre la massa è stolida nel pensiero e limitata nei suoi sentimenti».

Non si capisce bene come facesse Einstein a far concordare simili ideali democratici con la specie di assoluta schiavitù, emotiva e relazionale, nella quale pretendeva di fare vivere la moglie. Certo, anche il lettore meno ingenuo potrebbe far concordare l’immagine dell’individuo creatore e sensibile con l’idea che di se stesso aveva lo scopritore della relatività, anche se questo imporrebbe l’inserimento obbligato della moglie nella ‘massa’, quella insomma “stolida nel pensiero e limitata nei sentimenti”.

Paradossale genialità? Si sarebbe portati a crederlo. Eppure c’è qualcosa di più inquietante…

Questo significa tanto per cominciare che la salute mentale non è connessa all’intelligenza, all’intuizione, alla sensibilità artistica, alla capacità di percepire e descrivere vivamente e attendibilmente, cioè in maniera chiara e condivisibile, il mondo esterno o quello interiore. “Adattamento motivazionale e sociale all’ambiente a alle persone” è un’espressione “forte”, eccessivamente didascalica, forse un po’ bacchettona. È una combinazione di condizioni difficilissima da trovare, anche perché è un’espressione rilevabile solo qualitativamente, quindi in modo soggettivo. Quando una siffatta condizione è ‘sufficiente? E sufficiente per chi? per chi la prova o per chi la osserva dall’esterno? per l’individuo o per la comunità? Per Einstein il suo adattamento era perfetto; per la moglie molto meno. Ancora: “La persona sana di mente ha un atteggiamento produttivo verso la vita e vive con interesse”. Ma che cos’è un atteggiamento produttivo? È qualcosa di relativo ovviamente al creare idee, cose, reti di relazioni e interessi, a gestirle. Tutto ciò andrebbe fatto in maniera interessata e partecipe. Questo sarebbe salute mentale; dal che risulterebbe che tra le persone più sane di mente della storia vanno inseriti Al Capone, Adolf Hitler, Josif Stalin, Landru e una serie lunghissima di altri personaggi. Leggiamo questi delicati, ispirati versi alla Luna: “Strapperò la mia veste/e scoprirò il mio petto alla luna /e con le mani tese/ adorerò colei che fa piovere la sua luce sul mondo”. Le delicate liriche di questo romantico poeta furono ritenute tanto belle che, nel 1907, furono inserite in una raccolta della migliore letteratura georgiana. Stiamo parlando proprio di lui, Josif Vissarionovic Dzugasvili, detto Stalin, quello stesso che avrebbe qualche anno dopo massacrato milioni di contadini russi, troppo legati alla proprietà privata (i kulaki), e ne avrebbe deportato un numero imprecisabile nei gulag siberiani. Uomo difficile, al quale vengono riconosciuti non pochi meriti, capace di vergare con la stessa calligrafia versi romantici e liste di proscrizione. D’altra parte è in ottima compagnia: Adolf Hitler, visto nel proprio ambito domestico, era uomo tenerissimo con i bambini e delizioso con la sua Eva Braun. Al Capone aveva un forte senso della famiglia (beninteso, in tutti i sensi…). Il Dottor Mengele, il crudele medico nazista responsabile delle ‘selezioni’ al campo di sterminio di Auschwitz e di famigerati esperimenti ‘medici’ sugli internati, amava distribuire caramelle ai bambini, specialmente zingari, gli stessi che dopo poche ore avrebbe ‘gasato’. E gli esempi potrebbero continuare.

D’altra parte bisogna stare attenti all’ultima parte della definizione di salute mentale che abbiamo utilizzato. “Salute e normalità non sono sinonimi in quanto normale è chi rientra nella norma socialmente stabilita”. Per quanto si tratti di un assioma molto forte nella scienza della salute mentale contemporanea, quest’asserzione è contraddittoria, confonde anziché chiarire, complica anziché semplificare. Ci troviamo di fronte ad una incredibile confusione. Se una società, in un determinato periodo storico e ad una certa latitudine, stabilisce che alcune norme di comportamento sono “normali”, le si può ritenere valide indipendentemente da tutti gli altri parametri di valutazione? Una società può comprendere individui ‘normali’ con comportamenti altamente patologici e contemporaneamente un concetto di salute mentale che prescinda dai comportamenti dati per normali? Possiamo cioè vivere da persone normali in società assolutamente folli? E possiamo essere folli in società cosiddette normali anche se le norme in queste società possono essere considerate folli dal punto di vista di altre società? Insomma, chi è mentalmente normale, e come, e dove, e quando? E’ una domanda ancora in attesa di risposta…

Giovanni Iannuzzo