Inedito sito megalitico preistorico a Caltabellotta con tracce di incisioni e pitture rupestri

0
470

Il territorio di Caltabellotta, in provincia di Agrigento, non finisce mai di stupire, sia per l’approfondimento storico delle sue note e fascinose realtà storico-artistiche che per le continue segnalazioni di siti e strutture antichissime che continuano a pervenire da cultori e ricercatori, come queste recentissime che ci arrivano da Enzo Mulé, insegnante in pensione, ricercatore indipendente, conoscitore del territorio, cultore di Megalitismo e Archeoastronomia.

Proviamo a riassumere l’essenziale dell’argomento con qualche domanda a Enzo Mulè.

Dove siamo e di cosa si tratta?

In data 22 luglio 2024 ho segnalato alla Soprintendenza dei Beni Archeologici di Agrigento e al Sindaco di Caltabellotta, per le rispettive competenze, la presenza di strutture architettoniche con ingrottati e incisioni decorate rupestri di probabile età preistorica, sulla Gran Montagna di Caltabellotta.

Si può avere qualche riferimento sull’ubicazione dell’areale segnalato?

È un sito totalmente sconosciuto alla ricerca, che provo a descrivere sommariamente, senza fornire dettagli per il riconoscimento a eventuali malintenzionati ma che ho fornito alle autorità competenti per la tutela e gli eventuali approfondimenti scientifici. Si trova nella parte angolare di uno slargo, in parte antropico, creato da due falesie sul lato destro di un torrente che più a valle, durante le piogge invernali, sfocia nell’attuale Fiume Favara.

Con riguardo alla riservatezza necessaria a tutelare il sito, si può avere una sintetica descrizione dell’impianto?

La parte aperta a sud-est è recintata da un muro di pietre, in parte opera  megalitica, su pianta a semicerchio per delimitare la zona, al cui centro troneggia un informe betilo a volume scatolare di circa 120 mc (4 x 5 x 6 m), levigato solo nella parte esposta a Sud, dove è incavato un incasso geometrico (edicola votiva-altare rituale?) di 0,30 x 1 x 2 m. Alla sua base ci sono incassati con cura una coppia di ‘rope-holes/fori passanti’. Nella parte ovest della falesia si trova scavata una grande nicchia a semisfera informe, di circa 2 x 5 m, con alla base due piani di posa: uno alto circa 1 m per più di metà della semisfera, l’altro, con 2 piani di posa a scalare, per il resto della nicchia. Dal betilo si sale un leggero declivio per circa 20 m fino a un gigantesco incavo ovale, alto per tutta la falesia, per immettersi in un ingrottato attraverso uno stretto accesso-cunicolo, dove sono ancora visibili quello che resta a parete di pitture e incisioni rupestri (in evidenza dipinte con ocra rossa e gialla, marrone manganese, nero carbone). Si accede quindi a una caverna, rimaneggiata, alta, rotonda e larga nella parte iniziale, poi sempre più stretta e profonda per più di 10 m. La caverna, tana di animali selvatici di fortuna fino a tempi attuali, è stata con ogni evidenza adibita per millenni a luogo di inumazioni e sepolture da comunità neolitiche o di età precedenti. Ovviamente questa è una mia supposizione che accredita la necessità di uno studio scientifico che andrebbe fatto primariamente sulle importanti tracce di pitture superstiti ancora in sito.

Si può avere qualche altra informazione sulla situazione del paesaggio agrario della zona, a conferma dell’importanza archeobotanica, oltre che archeologica, del sito?

A completamento di segnalazione porto a conoscenza di chi legge che a ridosso del muro di cinta sul lato destro del torrente, cresce un boschetto di mandorli selvatici con tronchi secolari. Durante i sopralluoghi, con il mio compagno di ricerca, Salvatore La Rosa, abbiamo raccolto alcune mandorle verdi e tentato di mangiarle: le abbiamo dovute immediatamente sputare perché stranamente disgustose e impossibili da ingerire. Cosa mai provata in precedenza da esperti conoscitori di frutta selvatica, funghi ed erbe quali riteniamo di essere. Sento di aggiungere quest’altra considerazione botanica sulla probabile importanza di questi fossili di piante selvatiche antichissime. Il mandorlo amaro (mennula amara in siciliano), pianta originaria della Sicilia, è chiamato scientificamente “prunus amygdalus”, perché contiene una sostanza chiamata “amigdalina”, un glicoside che diventa cianuro. “Amygdalus”, avrà probabilmente un nesso con l’amigdala che si trova all’interno dei lobi temporali del cervello e anche con lo strumento da taglio in pietra di cui si servivano i Preistorici (l’amigdala primitiva e l’amigdala lavorata) che usavano sia in ambito botanico che per macellare animali e tagliare; e chissà che non venisse usata in ambito medico rudimentale. Quindi la sostanza cianotica di queste mandorle, poteva servire sicuramente a qualcosa, magari probabilmente come anestetico.

Carmelo Montagna

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here