Montemaggiore Belsito, il racconto del miracolo nascosto: la leggenda del Crocifisso 

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Nel cuore di Montemaggiore Belsito, piccolo borgo incastonato tra le colline della Sicilia, si respirava un’aria di pace immutabile, quasi sospesa nel tempo. Gli abitanti, legati profondamente alla terra e alle tradizioni, vivevano scandendo le loro giornate tra il lavoro nei campi e le funzioni religiose nella chiesa del paese. Ed era proprio lì, tra quei vicoli silenziosi e le campagne circostanti, che una leggenda si stava per intrecciare con la storia, portando con sé un mistero che avrebbe cambiato per sempre la vita di quella piccola comunità.

Era una sera d’inizio estate, il sole stava calando dietro le colline, quando il sacerdote Don Giuseppe Cangelosi, stanco ma sereno, faceva ritorno da un piccolo podere che possedeva poco fuori dal paese. Le giornate erano lunghe e il calore si faceva sentire, ma quella sera l’aria era più fresca e avvolgente, quasi carica di qualcosa di inaspettato. Passando nei pressi della chiesetta della Madonna degli Angeli, situata ai margini di un campo, il suo sguardo si posò su un punto preciso del terreno. Rimase immobile per un attimo, colpito da una visione insolita: fiamme brillanti s’innalzavano dal suolo a una ventina di metri dalla chiesetta, ma quelle fiamme, di uno splendore mai visto, non sembravano distruggere nulla.

Don Giuseppe sapeva che il suo cuore batteva più forte per una ragione precisa. C’era qualcosa in quelle fiamme, un segno che andava oltre il semplice fuoco. Mosso da un misto di timore e curiosità, decise di avvicinarsi, cercando aiuto in due contadini che si trovavano nelle vicinanze. I tre si diressero insieme verso il luogo da cui provenivano quei bagliori misteriosi.

Giunti sul posto, Don Giuseppe si avvicinò al cespuglio avvolto dalle fiamme. Si chinò, osservando attentamente. Qualcosa stava accadendo. Il roveto ardeva, eppure non si consumava. Il sacerdote si avvicinò ancora di più, il cuore che martellava nel petto. E lì, tra le radici del cespuglio, vide qualcosa di incredibile: un’antica immagine di legno del Crocifisso, alta circa quattro piedi, distesa a terra, intatta nonostante il fuoco.

Il sacerdote si lasciò sfuggire un grido di stupore. Si voltò verso i contadini, che fissavano la scena con gli occhi spalancati. Poi, senza esitare, si inginocchiarono tutti insieme. Pregavano, piangevano, toccati da quella scoperta che sentivano sacra. Dopo un momento di silenzio e raccoglimento, Don Giuseppe si fece avanti, prese il Crocifisso tra le braccia con una cura quasi paterna, lo strinse forte al petto e lo baciò, come se avesse trovato un antico tesoro perduto. Quella sera, lo portò con sé a casa, sentendo che qualcosa di grande si era appena compiuto.

Molti anni dopo, nel 1898, un altro sacerdote di Montemaggiore, Filippo Chianchiana, decise che quella storia non poteva rimanere solo una narrazione orale, ma doveva essere scritta, tramandata per le generazioni future. Così pubblicò un libretto che raccontava la leggenda del Crocifisso ritrovato, quella stessa leggenda che da bambino aveva ascoltato tante volte con meraviglia.

Ma cos’è una leggenda? Chianchiana lo sapeva bene: molti pensano che una leggenda sia una favola, qualcosa di inventato, eppure per lui, e per la sua gente, una leggenda è ben altro. È un racconto che va letto e interpretato, che parla di verità nascoste sotto simboli e immagini. E la leggenda del Crocifisso di Montemaggiore, così legata al racconto biblico del roveto ardente, era una di quelle storie capaci di toccare le corde più profonde dell’anima.

Nel libro dell’Esodo, si narra di Mosè, che davanti a un roveto ardente riceve da Dio la rivelazione del suo nome misterioso: “Io sono colui che sono”. Ma per il popolo ebraico, allevatori e agricoltori, il senso profondo di quel nome era molto più concreto. Dio voleva dire: “Io ci sono, sono presente nella vostra vita, sono dentro la vostra storia”.

E così, come Mosè vide quel roveto ardere senza consumarsi, anche Don Giuseppe aveva visto quel miracolo, ma con una svolta in più. Sotto il roveto non c’era solo un segno della presenza di Dio, c’era un’immagine tangibile di Gesù Crocifisso. E quella scoperta aveva riscritto la storia della comunità di Montemaggiore. Dio non era più solo “colui che c’è”, ma aveva un nome nuovo: Gesù, “Dio salva”. Un nome che indicava salvezza, presenza, e che parlava di resurrezione.

Il Crocifisso risorto divenne il simbolo di Montemaggiore, un simbolo attorno al quale la comunità cristiana si era raccolta per secoli. Da quel momento in poi, il piccolo borgo non era mai stato senza l’immagine di quel Crocifisso, come se la sua stessa esistenza fosse intrecciata al volto di Gesù.

Chianchiana sapeva che quella leggenda non era solo un racconto da ascoltare con leggerezza. Era un richiamo, un invito a riscoprire la propria identità cristiana, a comprendere che il volto di Gesù, il Crocifisso risorto, era la risposta alle paure e ai dubbi di ogni tempo. Anche nei momenti più bui e difficili, la presenza di Gesù era lì, a ricordare a tutti che Dio è con noi.

Quella storia, con il suo fascino antico, continuava a illuminare il cammino dei fedeli di Montemaggiore, come un faro nella notte. E così, ancora oggi, nelle preghiere della comunità si riflette quel messaggio eterno: noi siamo liberi, perché Gesù, il Crocifisso risorto, è il Salvatore che ci guida, ieri come oggi.

Rielaborazione della trascrizione della catechesi sulla leggenda del ritrovamento del Crocifisso di Montemaggiore Belsito di p. Salvatore Panzarella (in una versione rielaborata con ChatGPT 4o) con la quale si è cercato di dare il respiro di un racconto romanzato, mantenendo la profondità del messaggio e lo stile evocativo che la storia richiede.

A cura di Santi Licata

Fotografia tratta dal documentario di Rosy Dolce per l’inaugurazione dell’Anno Pastorale 2024/2025 – 12 ottobre 2024 celebrato a Cefalù  (Dalla pagina FaceBook della Parrocchia Sant’Agata di Montemaggiore Belsito).

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