L’ordine degli avvocati di Termini Imerese e la Camera Penale hanno digitalizzato gli atti del primo maxiprocesso alla mafia che si è svolto davanti a un tribunale siciliano, celebrato tra il 4 ottobre del 1927 e l’11 gennaio del 1928 a Termini Imerese: Procedimento contro Nicolò Andaloro + 163. Un lavoro realizzato in collaborazione con la Soprintendenza archivistica e presentato recentemente al tribunale di Termini.
Ne parliamo con l’avv. Salvatore Sansone che ha curato i lavori di digitalizzazione del processo, coordinandone l’analisi e lo studio insieme ai giovani della scuola forense.
Come nasce l’idea di digitalizzare gli atti del primo maxiprocesso?
Siamo interessati al recupero e valorizzazione del patrimonio degli archivi giudiziari e allo studio dei processi storicamente più significativi celebrati nella competenza territoriale del nostro Tribunale già sede di Corte di Assise.
Quanto tempo è durato il lavoro?
I moderni ed efficienti sistemi di digitalizzazione che la Camera Penale ha messo a disposizione del gruppo di lavoro che ho coordinato, hanno certamente semplificato il lavoro di raccolta dei dati. La mole degli atti processuali conservati in vari faldoni da “riordinare” ci hanno impegnato comunque più di un anno.
Avete trovato particolare difficoltà nel lavoro di ricerca e la successiva digitalizzazione?
Il lavoro ha richiesto una lunga e approfondita preparazione storica e di comparazione processuale. Il processo Andaloro Nicolò + 163, fu celebrato secondo il codice di rito del 1913, il Codice Finocchiaro Aprile, rimasto in vigore fino al Codice Rocco del 1930. Per comprendere l’ordine degli atti e lo sviluppo del procedimento abbiamo dovuto studiare il codice dell’epoca ed entrare nell’analisi di dinamiche procedimentali molte diverse da quelle del codice oggi in vigore.
Che mondo esce fuori rileggendo gli atti del processo?
Il processo racconta di una Sicilia rurale e ci restituisce uno spaccato del contesto sociale, economico e politico del tempo. Gli atti che abbiamo studiato rivelano una maliziosa cointeressenza tra la delinquenza dei latifondi e i grandi proprietari terrieri e spiegano come l’evoluzione di quella associazione a delinquere costituisca l’origine della mafia moderna. Molte parti offese di quel processo oggi sarebbero tra gli imputati di concorso esterno.
Qualche episodio o momento che l’ha colpito particolarmente studiando il primo maxi?
Il processo chiama a giudizio il fenomeno organizzato delle bande criminali che agivano sulle Madonie, ecco perché la competenza della Corte di Assise. Le contestazioni di reato erano le più diverse. Omicidi, tentati omicidi, rapine aggravate, estorsioni, furti di animali, derrate agricole ed alimentari. Il controllo del territorio da parte delle vari gruppi criminali che imperversavano sui latifondi era pressoché totale. I soprastanti, i campieri e così i gabellotti dei vari feudi erano per la maggior parte al soldo dei capi banda ed assicuravano il controllo di intere provincie, garantendo pericolosi latitanti. Viene fuori la rappresentazione di una Sicilia medioevale dove per lavorare dovevi avere il benestare del capo bastone locale e spostarsi tra un comune e l’altro era pericoloso senza adeguata protezione. Il quadro impressiona se si pensa che tutto accadeva nel nostro territorio madonita meno di 100 anni fa.
E’ obbligo un paragone tra il maxiprocesso che si è tenuto a Termini Imerese circa cento anni e il più noto contro Cosa nostra celebrato tra il 1986 e 1987 e istruito dai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Quali sono le differenze?
Le differenze sono notevoli. Il processo Andaloro Nicolò + 163 è un processo sull’associazione a delinquere delle Madonie celebrato con un codice a formula mista inquisitorio e accusatorio al tempo stesso. Il maxiprocesso alla mafia del 1986, denominato Abbate + 475 e istruito da Falcone e Borsellino, è uno degli ultimi processi celebrati con il vecchio codice di procedura penale quello a formula inquisitoria. In questo processo trovò applicazione l’allora nuova previsione dell’art. 416 bis ossia il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso entrata in vigore con la legge n. 646, del 13 settembre 1982, Si trattava della legge “Rognoni-La Torre”, che ha introdotto la previsione del reato di “associazione di tipo mafioso” (art. 416 bis) e la conseguente previsione di misure patrimoniali applicabili all’accumulazione illecita di capitali. Si tratta di processi diversi fortemente influenza dai rispettivi contesti ed epoche di celebrazione.
I presidenti dell’Ordine degli avvocati e della Camera penale di Termini Imerese durante la presentazione del lavoro hanno sottolineato l’interesse al recupero e alla valorizzazione del patrimonio degli archivi giudiziari e allo studio dei processi storicamente più significativi celebrati nella competenza territoriale del tribunale. Quindi un lavoro che continuerà?
Il progetto avviato in collaborazione con l’Archivio di Stato proseguirà con la digitalizzazione degli atti di altri processi storicamente significativi per farne argomento di studio e formazione per i giovani avvocati nonché consentirne la pubblica fruizione telematica sul sito online dell’Ordine degli avvocati di Termini Imerese. E’ da evidenziare che anche la Soprintendenza degli Archivi Stato svolge un ruolo di particolare interesse contribuendo alla catalogazione dei processi nonché alla loro meta digitalizzazione consentendo collegamenti tra i documenti di fondi archivistici diversi.
Su quali processi importanti che nel passato si sono celebrati davanti al Tribunale di Termini Imerese pensate di lavorare?
Abbiamo in programma la digitalizzazione di altri due importanti processi per associazione a delinquere: il processo alla banda Lisuzzo e il processo alla mafia interprovinciale Ortoleva.
Salvatore Sansone avvocato del Foro di Termini Imerese, già Presidente della Camera Penale, è componente del comitato di gestione della scuola di formazione dell’Ordine degli Avvocati di Termini Imerese. Dirige e coordina il gruppo di lavoro per l’opera di studio e digitalizzazione dei processi storici costituito dall’Ordine degli Avvocati e dalla Camera Penale in convenzione e collaborazione con la Soprintendenza Archivistica della Sicilia – Archivio di Stato di Palermo.