Tra medico e paziente: le mani della guarigione

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In un celebre bassorilievo votivo conservato nel museo del Pireo, in Grecia, è raffigurato Asclepio, nume tutelare della medicina, che stende le mani sul corpo di un malato. Mentre il paziente dorme, egli impone le mani su di esso per produrre, evidentemente, la guarigione. Dai tempi di Asclepio, o se preferite dai tempi in cui sull’arte della medicina vegliava Asclepio immortale, sono passati secoli; eppure, attraverso di essi, scorre apparentemente invisibile il suo gesto taumaturgico, l’imposizione delle mani.

Che d’altra parte non era caratteristica di Esculapio: menzionata nella Bibbia, l’imposizione delle mani è una delle pratiche più antiche di quel complesso di ritualità e credenze che costituisce la storia della medicina in qualunque parte del mondo. L’esploratore spagnolo Cabeza De Vaca, ad esempio, si stupiva di avere rinvenuto presso oscure e sconosciute popolazioni indigene americane una pratica che consisteva, assai semplicemente, nell’imporre le mani sul corpo del malato, anche toccandolo, e nel soffiare su di esso. In questo modo, con suo sommo stupore, essi pretendevano di guarire gli infermi.

La cura per imposizione delle mani è quindi profondamente radicata nel tessuto culturale di vari tipi di società, secondo un ordine decisamente atemporale. Da Asclepio a Cabeza De Vaca, passa molto tempo e molto spazio, eppure la stessa identica pratica era nota a popoli e culture che sicuramente non avevano avuto alcun contatto tra loro. Eppure questo tipo di terapia è una delle poche che ha resistito nel corso del tempo. Oggi si chiama in maniera diversa, pranoterapia è il termine più in uso, e vorrebbe ammantarsi di un alone di scientificità fatto di misteriose quanto indimostrabili energie, detectors per le stesse, e chi più ne ha più ne metta, ma in realtà, nella sostanza, questo tipo di terapia non ha nulla di diverso da quella rappresentata nel bassorilievo del museo del Pireo ad Atene.

Il gesto come rituale

Proprio per queste sue caratteristiche conviene esaminare un po’ più attentamente questa pratica medica tradizionale. Una caratteristica sostanziale di essa è che l’azione terapeutica non è ottenuta per mezzo delle mani. Il tocco del paziente non è uno strumento di terapia in sé: non appartengono quindi, perlomeno direttamente, a questa prassi tutte le strategie basate sul massaggio, il tocco più o meno profondo la manipolazione.

Queste sono strategie per così dire naturalistiche, mentre nell’imposizione delle mani non v’è nulla di naturalistico. La mano del guaritore non è in  se stessa uno strumento di terapia in virtù, cioè, di quello che fa: è solo un mezzo mediante il quale il vero agente terapeutico può espletare la propria azione. È la stessa differenza che passa fra la siringa e la terapia parenterale: la siringa in sé non è la terapia, ma solo lo strumento attraverso il quale il mezzo terapeutico espleta la propria azione.

Bisogna comunque considerare che questa correlazione puramente meccanicistica tra uno strumento tecnico e una azione specifica da esso mediata è decisamente occidentale. In questa prospettiva il gesto è puramente funzionale a un obiettivo razionale, per cui il medico occidentale considera la siringa solo un particolare mezzo tecnico per immettere nell’organismo malato una sostanza della quale, in genere, sa quali saranno gli effetti su specifici organi e funzioni.

Ne consegue che il gesto dell’iniettare ha un senso puramente strumentale, e il potere terapeutico si sposta dall’operatore al farmaco. In altri termini, è del tutto irrilevante chi faccia l’iniezione e come la faccia. La cosa che importa è la natura del farmaco e la dinamica della sua azione.

Questo è il modo di procedere razionale, frutto della filosofia scientifica occidentale moderna. Nelle medicine tradizionali invece, compresa ovviamente la medicina occidentale pre-moderna, i termini di questa equazione sono spesso invertiti. Il gesto è di per se stesso un momento terapeutico ritualizzato. Anche oggi, in alcune culture tradizionali, per esempio, l’utilizzazione della siringa è mediata da una specifica ritualità, e non da presupposti razionali.

Questo tipo di atteggiamento, noto agli studiosi di etnomedicina, ha talvolta assunto una rilevanza sanitaria pubblica in tempi recenti. Da quando la pandemia di AIDS polarizzò l’attenzione del mondo scientifico occidentale, negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, fu infatti rilevato che uno dei probabili motivi della diffusione della malattia in alcune zone africane sembrava essere dovuto proprio a questo uso della siringa che travalica la sua funzione strettamente medica, nel nostro senso del termine. Gli uomini della medicina di alcuni gruppi di cultura tradizionale, utilizzavano la siringa ritualmente, senza nessuna asepsi, contribuendo a una involontaria diffusione in certe zone della malattia. D’altra parte non era la prima volta che strumenti della medicina occidentale vengono utilizzati da gruppi di diversa acculturazione, con obiettivi e metodi totalmente diversi.

Un discorso simile si adatta perfettamente alla terapia per imposizione delle mani. In essa ciò che è importante è il gesto, in quanto esso veicola principi profondi che si originano da una visione della realtà che rende possibile un modello di guarigione che attribuisca a esso valore terapeutico.

Una terapia sacra

Il modello tradizionale che sottende la plausibilità dell’imposizione delle mani come mezzo di terapia, è quello sacro. Il terapeuta, cioè, è depositario di un potere del quale egli non è in alcun modo artefice, né per apprendimento, né per virtù naturali, e che possiede solo in quanto prescelto da una entità superiore di natura divina o comunque appartenente alla sfera della sacralità. È così che per esempio si comprende perché la guarigione per imposizione delle mani fosse prerogativa dei re. L’attributo della regalità è infatti intimamente connesso, nella storia, a quello della sacralità della funzione che discende da Dio o comunque dalle divinità.

Così, l’imperatore Adriano aveva il potere di guarire gli idropici col tocco delle dita, Pirro, re dell’Epiro guariva la milza semplicemente toccando l’ipocondrio sinistro del malato con l’alluce destro, e la scrofola era chiamata, in Francia, male del re perché i re francesi e d’Inghilterra avevano il potere di guarirla. Né si tratta di tradizioni necessariamente antiche, se si pensa che, sino al 1828, Carlo X di Francia, trattò 121 malati semplicemente toccandoli (e poi lavandoli, in chiesa, dopo digiuni e preghiere). Se si pensa che nel 1828 si avvertivano in Europa e proprio in Francia (!) le prime avvisaglie del positivismo (Compte avrebbe pubblicato il suo Corso di filosofia positiva solo nel 1830), si comprende bene come mai certe pratiche tradizionali posseggano una forza del tutto indifferente al progresso scientifico occidentale moderno.

La simbiosi guaritore paziente

Se la sacralità è una caratteristica fondamentale della terapia per imposizione delle mani (discenda essa da Dio, dal Mana, o dagli spiriti degli antenati), un’altra sua specificità è quella di essere assolutamente olistica. L’attribuzione di olistico è in genere, specifica delle medicine tradizionali, in contrapposizione all’atomismo della medicina occidentale moderna. Le medicine tradizionali, infatti, indipendentemente dalla loro efficacia scientifica, vedono il malato, la malattia e la guarigione come un tutt’uno, pienamente inserito in un tessuto culturale che è specifico del medico, quanto del malato.

La medicina scientifica tende invece a distinguere non solo tra medico e malato, evitando qualunque coinvolgimento emotivo e/o culturale (di cui anzi enfatizza la mancanza), ma anche separando all’interno del processo di malattia e di guarigione le entità che sembrano distinguerlo (così si ha una malattia di un organo o di un apparato, non tanto di una persona). Nel caso della terapia per imposizione delle mani l’attribuzione di olistico è assolutamente necessaria per la sua comprensione. Infatti, per rendere tale terapia culturalmente efficace, è necessario stabilire uno specifico quadro di riferimento.

Anzitutto, il medico e il malato devono credere nella stessa origine del potere che viene emanato dal guaritore: esso deve essere sacro, e sul concetto di sacralità occorre una notevole concordanza, perché è solo così che il malato, o il gruppo, possono per così dire autorizzare l’uomo della medicina a fungere da delegato di un superiore problema. La concordanza che necessita è di gran lunga maggiore di quella necessaria ad altri tipi di terapia, per esempio di natura magica, o di natura empirica. nel caso della magia, infatti, è sempre possibile ipotizzare che il sortilegio sia più forte dei poteri di quello stregone, o che lo stregone non sia abile; nel caso della terapia empirica naturale (erbe, massaggi o prescrizione di qualche tipo) esiste un margine d’errore che è noto sia al medico che al paziente.

Nella terapia sacra, questo non può essere accettato. Essa deriva da un potere del quale il guaritore è solo il tramite. Essa quindi non può essere discussa, non può fallire e se fallisce il motivo è ancora una volta sacro, legato al rituale, non al potere. In questo senso esiste la necessità imprescindibile di una concordanza culturale assoluta. Per fare un esempio, è come se un repubblicano accanito, si rivolgesse al re per guarire dalla scrofola. Se il nostro soggetto è repubblicano, è evidente che non conferisce al re alcuna sacralità, il potere reale diventa una superstizione.

Nella terapia per imposizione delle mani si assiste allo stesso tipo di fenomeno. La natura della pratica non viene messa in discussione, né, tantomeno, viene spiegata, come tutto ciò che attiene al sacro. È un dato di fatto culturale che non necessita di ulteriori spiegazioni. In questo si assiste a una insospettata correlazione con quanto avviene, oggi, nel mondo industrializzato.

L’adattamento culturale

È infatti probabilmente per i motivi che abbiamo più sopra visto, che la terapia per imposizione delle mani mantiene certe sue caratteristiche anche ai nostri giorni, costituendo forse la più diffusa sacca di medicine tradizionali nel mondo moderno, industrializzato. In questo senso, comunque, bisogna riconoscere che nella pratica di tale terapia si sono verificati enormi mutamenti al punto che tra le modalità in uso nelle culture tradizionali, e quelle in uso oggi in occidente esistono differenze abissali. Diciamo pure che la pratica della pranoterapia moderna, resta connessa alle modalità originarie solo dallo stesso tipo di gestualità e dal presupposto che il guaritore è solo tramite di qualcosa.

Le differenze sostanziali riguardano proprio il concetto di sacralità, la concordanza culturale tra guaritore e paziente, il consenso comunitario fondato sulla stessa trama culturale. Poiché una medicina tradizionale è sempre specifica di una cultura, della quale accoglie il sistema di valori e le conoscenze di base, la terapia per imposizione delle mani così come viene praticata nel moderno occidente industrializzato ha dovuto adattarsi al paradigma culturale ivi imperante. Per cui si parla di pranoterapia, di energie, fluidi, macchine per la loro rivelazione, studi in doppio cieco e risultati clinici.

È difficile dire se questo abbia un senso scientifico o meno. Quello che qui importa precisare è invece che questo tipo di approccio terapeutico, aderendo così strettamente al sistema di valori della cultura nella quale opera, ha perso gran parte delle sue caratteristiche originarie, e del proprio tessuto concettuale. È, insomma, una forma riveduta e corretta di un processo di terapia olistica che è ben più antico e ben diversamente strutturato.

La terapia per imposizione delle mani, comunque, continua a esistere anche in zone ancora legate a una antica tradizione di medicina popolare. Ne siano esempi le pratiche che vengono. Non esistono tecniche specifiche. Né, come nel caso delle culture tradizionali non occidentali, esiste spiegazione: la spiegazione è implicita nel gesto stesso. In taluni altri casi il gesto è accompagnato da un rituale la cui natura sacra è indiscutibile (preghiere, gesti o movimenti particolari) che conferiscono al rituale stesso la cornice più adeguata per il suo svolgimento.

Dal sacro al parascientifico

È abbastanza sorprendente che anche nelle sue forme più moderne e commercializzate, la terapia per imposizione delle mani conservi delle antiche connessioni con le culture tradizionali. Il senso del sacro è stato sostituito da una sorta di senso parascientifico. Basta guardare con quanta forza, e ingenuità al contempo, viene propagandata l’idea di un fluido che passerebbe dalle mani del terapeuta a quelle del paziente.

Ora, l’idea stessa di fluido ha in sé qualcosa di sacro, e altrettanto sacro è per esempio il termine “prana” con il quale questo fluido viene spesso indicato, e che designa appunto la pranoterapia. Il prana è qualcosa che corrisponderebbe, nella filosofia e nella religione indiana, a un principio vitale dell’universo, indefinibile e sottile, qualcosa in qualche modo di assimilabile al “pneuma” dei greci. Il senso del mistero e del sacro viene rispettato anche nelle moderne evoluzioni della terapia per imposizione delle mani.

Certo è solo un residuo, e per di più modificato, del senso del sacro originario, ma conferma la sua derivazione da un modello arcaico specifico che sembra essere presente in tutte le culture. È ovvio che la sua espressione attuale è perfettamente concordante con il modello culturale moderno. L’esistenza di fenomeni misteriosi è messa difficilmente in discussione. È all’interno di questa possibilità di fenomeni misteriosi che si inserisce la stessa possibilità teorica di una terapia per imposizione delle mani.

Il problema della concordanza, infine, introduce all’argomento della efficacia reale della terapia per imposizione delle mani. L’accettazione culturale comune di un presupposto o di un modello, infatti, lo rende credibile. E se lo rende credibile lo può anche rendere efficace per un effetto placebo, che tutto sommato è basato sulla credibilità di una sostanza o di una pratica come strumento di terapia. È per questo che non stupisce il fatto che la terapia per imposizione delle mani, nel paleolitico, o attualmente, possa realmente essere efficace. Non certo per l’esistenza di misteriosi fluidi o di arcani poteri, ma per il fatto di stabilire un contatto terapeutico fondato su un sistema omogeneo di credenze che potenzia le aspettative e che può rendere autenticamente terapeutico un gesto antico quanto la stessa arte medica.

Giovanni Iannuzzo

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