Qualunque latitudine, la gravidanza e il parto sono sempre stati considerati momenti determinanti dell’esistenza, carichi di forti, arcaici significati simbolici, investiti di aspettative e ansie, circondati da rituali, cerimonie, credenze e suggestioni, che spesso implicano l’attenzione della comunità e una sua partecipazione sociale emozionale.
Per secoli, prima dell’avvento della moderna medicina occidentale, questi fondamentali eventi sono stati organizzati dalle medicine tradizionali in base a concetti, tecniche e teorie ora del tutto estranee alla nostre filosofia della salute. Eppure, anche attualmente, due terzi delle nascite che avvengono nel mondo sono assistite da una tradizione medica molto diversa dalla nostra. Nella stessa maniera, sesso e contraccezione sono valutati, interpretati e regolati da sistemi di credenze che no appartengono alla cosiddetta cultura scientifica.
La conoscenza dei modi in cui vengono gestiti contraccezione, gravidanza e parto in numerosi contesti etnici e culturali fornisce una visione del tutto diversa di questi fenomeni, approfondendo il divario che si intuisce tra natura e cultura nella organizzazione di alcuni momenti dell’esistenza.
Dal punto di vista medico l’aspetto della sessualità che viene di norma maggiormente enfatizzato a tutte le latitudini è quello della contraccezione. Si può anzi dire che le pratiche contraccettive, o almeno i tentativi di limitazione delle nascite, hanno da sempre caratterizzato le culture, almeno sin da quando si è intuito il rapporto causale esistente tra sessualità e gravidanza.
Il metodo contraccettivo tuttora maggiormente usato nelle medicine tradizionali è l’astinenza. Essa è abitualmente messa in relazione con qualche tabù: per esempio la convinzione che durante l’allattamento il rapporto sessuale alteri la qualità del latte, facendo ammalare il bambino o forzandone un premature svezzamento. Naturalmente questo implica il distanziamento delle nascite, anche se no è ben chiaro se si tratti di un metodo consapevole. Oltretutto si ritiene che la stessa lattazione prolungata sopprima l’ovulazione anche se in proposito bisogna tener conto di un certo numero di fattori quali la frequenza e l’intensità delle poppate.
Presso diversi popoli l’astinenza è invece praticata in particolari momenti rituali, come prima della caccia o in certi periodi del mese. Si ritiene in genere che il rapporto sessuale in tali casi abbia un significato inquinante e comunque esso è strettamente correlato a altri fattori, come i ruoli sociali sessuali, le influenze soprannaturali o le attività economiche della comunità o del gruppo.
Altre volte l’astinenza è periodica e avviene con un metodo ritmico teso a evitare i rapporti sessuali nei giorni ritenuti fertili. Il problema è che le convinzioni sui periodi fertili variano notevolmente da una cultura a un’altra e comunque non sempre sono aderenti alla realtà biologica: basta pensare che presso taluni popoli viene ritenuto fertile il periodo delle mestruazioni o i cinque giorni che le precedono o che le seguono. Ne deriva che queste pratiche, sebbene abbiano l’intendimento di limitare le nascite, concentrano l’attività sessuale proprio nel periodo fertile, con un conseguente aumento delle gravidanze.
L’astinenza è poi, in taluni casi, sostenuta dalla credenza che nel seme sia concentrata tutta la forza e la vitalità dell’uomo: per esempio questa convinzione è ampiamente diffusa in India, dove si crede conseguentemente che il rapporto sessuale e l’eiaculazione indeboliscano l’uomo, mentre la conservazione del seme lo rafforza.
Esistono comunque altri metodi meno rigorosi rappresentati da variazioni dell’atto sessuale. Tra di essi vi sono la ritrazione prima dell’eiaculazione (coitus interruptus), il coito interfemorale(pseudocoitus) o l’ostruzione manuale dell’uretra (coitus obstructus). In diverse culture viene praticata la flessione dell’utero o la retroflessione prodotta mediante massaggio esterni, una tecnica che nelle Filippine viene detta “inclinazione della matrice”, o anche “piegatura delle tube”, e che tra l’altro è utilizzata anche in Nigeria presso la popolazione degli Yoruba.
Altri metodi privilegiano tecniche più rudimentali: la donna per esempio sdraia a pancia in giù o salta in piedi subito dopo il coito per fare uscire lo sperma.
A questi metodi “fisiologici” si aggiunge poi tutta una serie di dispositivi meccanici. Si tratta spesso di astucci o veri e propri preservativi fatti di pelle di animale o di pesce, di vescica o di budello, o di tappi e diaframmi di varia natura posti sulla cervice. Per questi rudimentali modelli di diaframma o di IUD vengono utilizzate le sostanze più eterogenee: erbe, gomma arabica, sterco, miele, sale di rocca, inserite nella vagina. Alcune di esse hanno una effettiva, probabile azione chimica poiché alterano la natura le acidità dell’ambiente vaginale e agiscono come spermicidi.
I contatti con la cultura occidentale hanno messo talvolta a disposizione di popolazioni “non acculturate” altre sostanze, come il chinino o l’aspirina che triturate, vengono utilizzate nello stesso modo e con le stesse finalità.
Un altro metodo consiste nell’irrigazione vaginale prima o dopo il coito: viene eseguita con acqua salata, aceto, succo di limone o acido borico, che alterano il PH vaginale e agiscono quindi sulla vitalità e sulla mobilità degli spermatozoi.
Talvolta anche le erbe sono utilizzate come anticoncezionali, ingerite sotto forma di tisana, introdotte nella vagina o usate per fare irrigazioni. Il loro uso appare abbastanza razionale, visto che in certi casi contengono principi attivi che agiscono sulle gonadotropine ipofisarie, inattivandole o provocando contrazioni uterine.
Naturalmente in alcuni gruppi e società vengono utilizzati metodi magici, come l’uso di amuleti che dovrebbero bloccare il passaggio del seme o impedire l’azione degli spiriti che presiedono al concepimento. Naturalmente l’efficacia reale di questi metodi è ampiamente discutibile, spesso basata sulla semplice casualità. Il controllo delle nascite in molte culture non ha infatti una grossa rilevanza sociale, pari a quella attribuita alla gravidanza e al parto, eventi che invece sono caratterizzati da sistemi spesso complessi di idee e comportamenti ben strutturati.
Gravidanza e parto
Un esempio di questo fatto è che non esiste una figura professionale, in nessuna cultura tradizionale, che si occupa specificamente e soltanto di contraccezione, o di sessualità (qualcosa che in qualche modo equivalga al moderno ginecologo o al sessuologo occidentale), mentre esistono le specialiste ostetriche che hanno la responsabilità del buon esito di una gravidanza e di un parto. Queste persone, nella stragrande maggioranza dei casi donne, sono chiamate in molti modi diversi: abitualmente “lavoratrici tradizionali”, o “assistenti alla nascita tradizionali” (TBA, Traditional Birth Attendant: è la definizione raccomandata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità).
Esiste una grande varietà di definizioni, proprie della lingua di ciascun paese: Dai (India), Dukun Bayi (Indonesia), Hilot (Filippine), Bundo (Sierra Leone), Matrone (Senegal), Partera (Messico), Comedrona (Guatemala). C’è una differenza fondamentale comunque non solo nelle definizioni, ma anche nei modi di considerare la gravidanza e il parto in Occidente o nelle culture tradizionali. Mentre nella nostra società si assiste ormai da anni a una progressiva “medicalizzazione” del parto e della gravidanza, nelle culture tradizionali tali eventi sono considerati del tutto naturali, assumendo spesso un ampio significato rituale, sociale e morale.
Questo avviene anche, stranamente, in culture nelle quali per indicare la gravidanza si usano vocaboli che la definiscono in termini di malattia. In America Latina per dire che una donna è gravida si dice che està enferma, è malata, ma tale evento non è comunque considerato di importanza medica. Comunque anche in queste culture che vivono la gravidanza come un fenomeno del tutto naturale, il parto è caratterizzato da una notevole ansia, perché è in ogni caso un momento pericoloso.
Per proteggere la madre e il bambino vengono quindi utilizzati dei rituali che, talvolta, rappresentano anche cerimonie di transizione per la donna che diventa madre, cambiando stato; essi comunque le forniscono una qualche forma di sostegno morale alleviandole l’ansia.
In ogni cultura gravidanza e parto sono considerati momenti caratterizzati d uno stato instabile o da uno squilibrio; è per questo che, al fine di restaurare l’equilibrio turbato, vengono dappertutto prescritte delle diete e degli esercizi fisici appropriati.
Naturalmente questo equilibrio è inteso in maniera diversa nelle varie culture. In genere, comunque, almeno in Asia, Africa e America Latina tale concetto è basato su alcune “qualità” che sono proprie dell’antica medicina umorale: il caldo, il freddo, l’umido e il secco. Più o meno compiutamente, questi concetti sono sempre alla base delle norme preventive dell’ostetricia tradizionale. Per esempio, la donna che ha appena partorito si trova in uno stato “freddo”, perché il parto comporta una perdita di sangue, che è caldo. Deve quindi evitare le influenza fredde e , nel contempo, ingerire qualcosa di caldo: starà quindi al caldo, non farà bagni, terrà il capo coperto o ingerirà sostanze che abbiano la caratteristica di essere “calde” non tanto dal punto di vista della temperatura, quanto da quello della loro intrinseca qualità. L’identificazione della qualità “freddo” con la malattia e in particolare nell’ostetricia è diffusa in tutta la medicina tradizionale.
Per esempio, i cibi “freddi” possono raffreddare il latte materno e quindi provocare una malattia nel neonato. Oppure la sterilità è spesso attribuita a un utero freddo e può essere curata soltanto con metodi che tentano di riscaldarlo (erbe “calde”, bagni caldi, bagni di sudore). Così tra l’altro anche in Guatemala, ma simili concezioni sono presenti un po’ ovunque.
Oltre all’equilibrio fisico e dietetico le medicine tradizionali prestano molta attenzione anche all’equilibrio psichico della gravidanza. Si sa che sono sempre da evitare durante la gravidanza le forti emozioni e specialmente l’ira e la paura, perché possono influire negativamente sulla salute del feto, o addirittura causare complicazioni nel parto. Lo stesso può dirsi del puerperio durante il quale simili emozioni possono alterare la qualità del latte causando addirittura un blocco della lattazione. Ma le tensioni emotive possono soprattutto rendere difficile un parto, mentre la loro assenza lo facilità. Inutile aggiungere che a simili conclusioni è pervenuta, anche attraverso strade diverse, la ginecologia e l’ostetricia moderna.
In alcune società, la gravidanza e il parto, e anche il puerperio, sono comunque considerati momenti inquinanti, pericolosi per la donna e in qualche modo per il suo contesto comunitario: una donna quindi, durante le mestruazioni, il parto e nel periodo del puerperio, deve evitare contatti con altri membri del proprio gruppo e perfino con animali e piante. Il sangue è infatti “sporco” e può essere contaminante. Una forma di questa superstizione sopravvive anche da noi: basti pensare a quante persone sono tuttora convinte che se una donna manipola o tocca del cibo durante il periodo mestruale tali sostanze andranno a male, si altereranno. Oppure che se una donna si prende cura, durante le mestruazioni, di una pianta, questa morirà.
Le medicine tradizionali in genere hanno concezioni diverse dell’anatomia e della fisiologia del parto. I Maya dello Yucatan (ultimi discendenti dell’omonima civiltà precolombiana) prendono per esempio in considerazione un organo centrale del corpo, che presiede alla maggior parte delle funzioni dell’organismo. Il travaglio può provocare una dislocazione di questo organo dando luogo a svariate malattie e sindromi per evitare i quali la levatrice tradizionale lo “rimette a posto” praticando uno speciale massaggio post-partum. D’altra parte bisogna ricordare che in molte culture latino-americane il corpo è visto come un tubo, entro il quale ogni organo o apparato può “spostarsi” con una certa libertà: il massaggio assume quindi anche una funzione preventiva, per evitare “dislocazioni” patologiche degli organi.
Un’altra idea abbastanza diffusa nelle medesime culture, è che la placenta possa salire dentro il corpo della madre e soffocarla se il cordone ombelicale viene tagliato prima che la placenta stessa sia stata espulsa. Proprio per tutte queste “controindicazioni” della gravidanza e del parto, la figura della levatrice assume una rilevanza fondamentale. A parte qualche cultura (in Messico, Ghana e Filippine, per esempio) la levatrice è sempre donna e è in grado di assumere pienamente il suo compito e di assolvere la sua importante funzione soltanto “dopo” la menopausa. Probabile, anche se non è stato chiaramente stabilito, che questo possa essere dovuto a una semplice norma di igiene psicologica, per evitare nella giovane levatrice problemi di coinvolgimento emotivo e di vissuto che potrebbero in qualche modo costituire un limite alla sua destrezza professionale. Abitualmente il suo ruolo sociale è molto rispettato. Vi sono naturalmente delle eccezioni, come quella indiana: la dai infatti essendo partecipe di un evento sporco e inquinante come il parto, appartiene per forza di cose a una casta inferiore.
Una delle funzioni principali della levatrice tradizionale è quella di prescrivere la dieta, nell’ambito di una prescrizione più generale che riguarda un regime di vita sano e igienico. La classica restrizione dietetica, nei sistemi medici tradizionali, è quella di evitare durante la gravidanza, cibi eccessivamente “freddi”, così come i cibi eccessivamente “caldi”. Questa qualità è naturalmente indipendente dalla temperatura fisica effettiva dell’alimento: un decotto ingerito a una temperatura di novanta gradi centigradi può aver effetto raffreddante, e viceversa. I cibi infatti hanno caratteristiche codificate dalla tradizione. Il peperoncino rosso è per esempio un classico alimento “caldo”, probabilmente anche per la sua effettiva capacità ci generare calore.
Il problema è che tra i cibi proibiti possono anche esservi alimenti raccomandati dall’ostetricia e dalla ginecologia occidentale. Per esempio le uova sono considerate con un certo favore in occidente, mentre alcune medicine tradizionali (per esempio in Nigeria, e in Guatemala) ritengono che possano prolungare la durata del travaglio.
All’opposto, cibi obiettivamente nutrienti e leggeri possono essere consigliati: il pollo è considerato, dalla medicina tradizionale guatemalteca, un alimento ideale per le donne incinte. Al contrario è considerato tabù nella cultura dei Mbum Kpau del Ciad.
Esistono anche divieti e prescrizioni dettata da considerazioni magiche. La carne di coniglio in alcune culture non va mangiata dalla donna incinta perché può predisporre a parti multipli. Si tratta di un evidente principio di magia analogica, che collega la tradizionale fecondità e multiparità dei conigli alla medesima caratteristica che potrebbe esser indotta nella donna. Nello stesso modo nei Caraibi e presso i Garifuna mangiare molluschi (che si ritraggono abitualmente dentro il guscio) potrebbe indurre il bambino a “ritirarsi” dentro l’utero.
In ogni caso la levatrice può esplicare tutte le sue potenzialità e le sue funzioni solo al momento del parto. Esso avviene di norma, o comunque assai spesso, in casa della partoriente, anche se in diverse culture la gestante va in casa della levatrice per partorire, oppure si reca in appositi centri di maternità gestiti dalle levatrici tradizionali stesse.
Se il parto avviene in casa, esso talvolta può espletarsi in zone appartate dell’abitazione o in una speciale capanna. Le differenze culturali sono, in questo contesto, particolarmente evidenti. In India il parto è circondato da un’aura di particolare segretezza, la casa viene chiusa e la donna non deve gridare se non vuole essere oggetto di disapprovazione. In altre culture, invece, il parto è un momento di vita comunitario al quale partecipano in diversa misura tutti i membri del gruppo.
Conoscere i modi molteplici in cui gravidanza e parto vengono gestiti a differenti latitudini può implicare più efficaci strategie del sistema ostetrico occidentale, per una migliore integrazione con quelli tradizionali, meno “medicalizzati”.
La couvade
Secondo uno studio condotto da Ford, della Yale University, in ben 31 culture su sessantaquattro (48,43%) è fatto divieto assoluto all’uomo di assistere al parto. In Messico e in Guatemala, invece, assistere a questo evento è considerato un preciso dovere dell’uomo. Questo atteggiamento diviene esasperato nei Caraibi dove è in uso la consuetudine della couvade: il comportamento, cioè, dell’uomo segue di pari passo quello della moglie; egli si metterà quindi a letto e si asterrà da certe attività nello stesso periodo e per lo stesso tempo della moglie. In ogni caso, gravidanza e parto sono momenti privilegiati in tutte le culture, e tutto sommato certe caratteristiche sono interculturali (non è infatti difficile trovare, anche nelle nostre campagne, credenze e modelli simili a quelli diffusi in Africa, o nel continente americano). Ma anche se le tradizioni specifiche differiscono, questi momenti dell’esistenza coinvolgono emotivamente tutto il gruppo, in una maniera o nell’altra, o richiedono una qualche forma di sostegno sociale alle richieste tipiche della gravidanza e del parto, con azioni volte ad alleviare l’ansia che li caratterizza.
Giovanni Iannuzzo