Tutti abbiamo ritmi di vita diversi: c’è chi si sente pieno di energie appena alzato dal letto e fornisce le migliori prestazioni di mattina, chi invece rende meglio nelle ore serali o, addirittura, notturne. Abitudini, magari dettate da necessità di lavoro? Condizionamenti sociali o familiari? Si e no.
Una statistica di qualche anno fa rilevava che, per esempio di un campione di abitanti di Milano, il 47,3 per cento si alza fra le sette e le otto del mattino, e il 36,3 per cento prima. Pochi i dormiglioni: solo il 16,4 per cento si alzava dopo le otto. Non vengono forniti dati di natura professionale, ma è ovvio che, fatte le somme, buona parte delle persone intervistate aveva esigenze orarie lavorative. Ma non è sempre così. C’è chi si alza all’alba, così, non tanto per necessità o per il puro piacere di farlo, quanto per una apparentemente inspiegabile tendenza.
Ad altre persone invece il risveglio antelucano costa fatica, ed è condito da quantità variabili di sbadigli e imprecazioni indirizzate alla sveglia. La stessa cosa avviene misteriosamente per le ore serali e notturne.
Detto in altri termini, ciascuno di noi predilige certi periodi del giorno per fare qualcosa: c’è chi ama alzarsi di primo mattino, chi invece soffre se deve metter fuori i piedi dal letto prima delle 7,30, e anche allora preferirebbe continuare a dormire. Nello stesso tempo ci sono persone che amano fare le ore piccole, senza avvertire alcuna fatica, e chi invece, superato un certo orario serale, sente l’impellente bisogno di riposare.
Lo stesso vale per quanto riguarda l’efficienza: alla sera o al mattino ci si può sentire stanchi o pimpanti, entusiasti o depressi, e questo indipendentemente da fattori esterni. C’è chi dorme un po’ di più al mattino e si alza con un cerchio alla testa, c’è chi invece si sveglia alle undici e si sente perfettamente in forma.
Si pensava che questo fenomeno obiettivo, cioè la variabilità individuale nelle preferenze di certe fasce orarie del giorno o della notte, fosse puramente casuale, determinato dal fatto di «essere così», come «così» sono le allodole e civette, gli animali mattinieri e notturni per definizione. Oltretutto, si era stabilita un’arbitraria fascia di «normalità» dell’adattamento funzionale al tempo: si dorme normalmente otto ore, il sonno notturno è sempre più importante per l’organismo, vegliare sino a tardi è dannoso per la salute. E via con tante altre regole d’igiene (chi da ragazzo non si è sentito dire che era meglio andare a letto presto la sera, e poi magari alzarsi e poi magari alzarsi un paio d’ore prima per ripassare la lezione?). Ma la realtà è diversa. Le risposte dell’organismo al tempo cronologico sono – a quanto sembra – molto più complicate di quanto comunemente si ritenga e, soprattutto, presentano ampie variabili.
Per esempio, si è visto che esistono sostanzialmente due categorie di individui: persone che forniscono le migliori prestazioni nelle ore mattutine e soggetti che invece rendono meglio in quelle serali. Il primo a fare questa scoperta fu il fisiologo americano Nataniel Kleitman. Egli definì i primi soggetti «Morning» (mattina) e i secondi soggetti «Evening» (sera) – per semplificare da ora in avanti in questo articolo li chiameremo anche soggetti “M” e soggetti “E”. Tra queste due categorie, quindi, esistono differenze sostanziali per quanto riguarda le prestazioni fisiologiche e la possibilità di lavoro. Si è visto, per esempio, che i soggetti «M» presentano un alto picco di adrenalina al mattino, che poi declina durante il giorno, mentre i tipi «E» hanno una secrezione quasi costante di questa sostanza. Lo stesso accade per i livelli di efficienza: nei soggetti «M» tali livelli sono costanti durante il giorno e diminuiscono la sera, nei soggetti «E» le prestazioni sono nettamente migliori la sera.
I tipi «M» hanno una sonnolenza minore durante il giorno, che poi aumenta con l’apprestarsi delle ore notturne, il contrario avviene invece nei soggetti «E».
Esistono anche nelle abitudini relative al sonno: «M» si alza circa duo ore prima al mattino e va a letto un’ora e mezzo prima la sera, rispetto a «E». naturalmente esistono anche soggetti intermedi, con caratteristiche non così specifiche.
Da che cosa dipendono tali diversità? Dai cosiddetti ritmi biologici e, in particolare, dai ritmi circadiani. Circadiano significa «di circa un giorno»; si tratta cioè di cicli biologici che hanno la durata di 24 ore approssimative. (Esistono cicli di durata diversa, ma qui non ce ne occuperemo). L’alternanza tra veglia e sonno, attività e riposo – un ritmo circadiano fondamentale – è condizionata da un importante fattore esterno, il cosiddetto sincronizzatore, e cioè il passaggio da luce a buio e viceversa. Questa alternanza è il fattore di maggiore sincronizzazione per tutte le specie superiori, ma dipende dalla loro natura: per le specie diurne l’attività avviene nelle ore di luce, mentre per le altre specie, per esempio i felini, avviene il contrario. Se manca la sincronizzazione ambientale (cioè in condizioni di oscurità continua o di luce continua), i ritmi si sganciano dal condizionamento esterno e divengono free-running, autonomi con un periodo di circa un giorno, di poco superiore o di poco inferiore alle 24 ore.
Il sistema che regola i ritmi biologici, specialmente quelli circadiani, è abbastanza rigido; non tollera infatti significative manipolazioni dall’esterno dell’ordine temporale che esso impartisce all’organismo. È come se, da questo punto di vista, l’orologio del nostro organismo fosse sincronizzato in un dato modo che – teoricamente – non dovrebbe essere modificato. Il benessere psicofisico, quindi, sembra dipendere da questo ordine temporale interno. Le modifiche che, per esigenze culturali, vengono apportate al sistema potrebbero avere effetti nocivi.
Purtroppo le esigenze della società moderna sono distanti anni luce da quelle biologiche. Nelle società precedenti alla nostra, dai primordi della storia dell’uomo sino a relativamente poco tempo fa, esisteva una sostanziale coerenza tra esigenze economico-sociali ed esigenze biologiche: l’alternanza luce-buio e quella lavoro-riposo erano perfettamente sincronizzate. Oggi questo rapporto tra cicli naturali si è completamente alterato. Numerose attività, infatti, necessitano di essere svolte durante tutto l’arco delle ventiquattro ore (si pensi ai turni dell’industria).
Nelle persone (ormai moltissime) che devono lavorare e riposare quando l’organismo non è in condizioni favorevoli avviene allora uno sfasamento dei ritmi, si verifica cioè un processo di «risincronizzazione» simile a quello che avviene durante i voli transcontinentali. La differenza sta nel fatto che, contrariamente a quanto succede nel caso dei viaggi aerei, in questo caso la situazione è costante nel tempo.
Proprio studiando questo problema, si è arrivati a scoprire che esistono differenze individuali spesso significative rispetto alla capacità di sincronizzazione dei ritmi biologici dopo uno slittamento di fase. Come dire che ciascuno ha una soglia di tolleranza diversa nei confronti delle costrizioni del tempo. Per tornare ai nostri «Morning» e «Evening», i tipi «M» sembrano essere più «adatti» al normale periodo di 24 ore e avere ritmi circadiani più brevi. I tipi «E» invece hanno periodi più lunghi, e quindi devono continuamente «registrarsi» sul normale ritmo giornaliero. Se dovessero sempre seguire le norme di attività quotidiana, dovrebbero dormire quando non hanno sonno, e svegliarsi quando invece vorrebbero ancora dormire: il periodo di 24 ore è infatti troppo breve per le loro obiettive esigenze.
Da queste osservazioni derivano importanti conseguenze pratiche. Gli «Evening» hanno bisogno di attività lavorative diverse da quelle sincronizzate sul normale intervallo veglia-sonno: i loro ritmi fisiologici sarebbero in perfetto accordo con i ritmi di lavoro se potessero andare a lavorare qualche ora dopo, al mattino, ma coricarsi qualche ora dopo. Queste persone sono più adatte, quindi, ai lavori notturni poiché lo sfasamento dei ritmi circadiani medi per loro è salutare anziché dannoso.
L’inverso accade per i «Morning» che hanno invece bisogno di lavorare secondo ritmi, per così dire, classici e che risentono notevolmente del lavoro a turni, o comunque del lavoro di notte. Queste persone necessitano di una normale attività lavorativa che sia in accordo coi normali ritmi veglia-sonno. Ricerche specifiche hanno confermato questo aspetto pratico della cronobiologia: si è visto infatti che le persone che abbandonano il lavoro a turni per problemi di salute sono tutti tipi «M».
Insomma «M» ha un sistema di ritmi biologici molto più rigido rispetto a «E», e alcune ricerche cliniche hanno confermato che esiste una significativa differenza anche per quel che riguarda i problemi di salute presentati da queste persone.
I tipi «M», inoltre, hanno una maggiore rispondenza del loro sistema neurovegetativo in qualunque ora del giorno vengano osservati. Sono cioè di tendenza «ergotropa». I tipi «E» hanno invece una tendenza «trofotrofica». I primi si addormentano più facilmente, hanno una temperatura più bassa al momento di coricarsi e si svegliano presto al mattino. Nel contempo, se ritardano ad andare a letto presentano disturbi del sonno con maggiore facilità. I tipi «E», invece, trofotrofici, hanno difficoltà ad addormentarsi quando vanno a letto troppo presto, mentre invece compensano l’andare a letto tardi con un aumento del sonno mattutino. In generale, risulterebbe che i tipi «M» hanno una maggiore labilità del sistema nervoso autonomo rispetto ai tipi «E». queste scoperte consentono di stabilire anzitutto se il tipo di attività lavorativa svolta da un individuo è adatto alla sua struttura «cronobiologica», cioè se, in altri termini, un certo lavoro è in qualche modo connaturato a un dato soggetto, oppure se esso può produrre danni psicofisici. Essere «M» o «E» può anche avere una serie di conseguenze non solo nell’attività lavorativa, ma anche per altri aspetti della vita quotidiana. È constatazione comune che certi ritmi di vita vanno bene per una persona, ma non per un’altra, e talvolta tale differenza individuale viene interpretata erroneamente come un difetto o una virtù, in base a norme aprioristiche. Insomma, se qualche personaggio illustre, magari qualche ‘influencer’ o qualche top manager volesse farci venire i sensi di colpa asserendo baldanzosamente nelle interviste di alzarsi alle cinque del mattino per lavorare fino a notte inoltrata col massimo dell’efficienza psicofisica, potremo finalmente non sentirci in difetto e restituire al mittente questa strana idea di normalità, in realtà nient’altro che una vera ‘bufala’ biologica.