Quando il dottor E.W. Stevens, in un freddo giorno di gennaio del 1878, ricevette la visita dell’amico signor Roff, e venne da questi invitato a visitare una bambina, figlia di amici di famiglia, che presentava strani sintomi, sicuramente il medico non immaginava di doversi trovare di fronte ad un caso che sarebbe passato, in un modo o nell’altro, alla storia della scienza.
Spesso, nella storia della psichiatria, alcuni fenomeni psichici sono stati volutamente trascurati. O, se vogliamo, semplicemente sottovalutati. E’ difficile comprenderne il motivo. E’ probabile che, in uno sforzo continuo di adeguamento al metodo scientifico positivista, si sia tentato di razionalizzare e semplificare progressivamente le regole essenziali del comportamento umano normale e patologico, il che ha reso necessario trascurare quelle zone d’ombra che in qualche modo interferivano con questa semplificazione. E’ inevitabile, se vogliamo. Nella costruzione di un modello scientifico è praticamente impossibile tener conto di tutte le variabili che possono interferire con un paradigma. Tutto diventerebbe molto più complicato. Eppure le zone d’ombra esistono. E di tanto in tanto, come in una eclissi, vanno ad oscurare seppure per un attimo, il sole delle nostre certezze scientifiche. Una di queste zone d’ombra, in campo psichiatrico, è la possessione. Come fenomeno, la possessione pone una serie di problemi inquietanti. Per dirla con Weiant: “E’ veramente possibile per un’entità estranea (sia essa un demone o un angelo o l’anima di un defunto, o forse anche lo spirito di un animale) prendere possesso del corpo di qualcuno e ridurlo in suo potere?”. Bella domanda. Certo, diciamo pure che già il termine stesso di possessione sembra catapultarci indietro di secoli, sino – se non oltre – al famigerato Malleus Maleficarum dei domenicani Sprenger e Kramer, che portò fra le fascine infuocate dei roghi migliaia di donne, probabilmente solo povere isteriche. Ma la domanda resta: la possessione esiste?
Oggi non è una domanda peregrina persino per la psichiatria più ortodossa. I fenomeni di possessione sono stati compresi e codificati già nel DSM IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), la più completa classificazione dei disturbi mentali, elaborata dall’American Psychiatric Association nel 1952, poi adottata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e giunta oggi alla quinta edizione, dopo una lunga serie di aggiornamenti e revisioni. I fenomeni di possessione vengono considerati come fatti meritevoli di ulteriore approfondimento, non patologici solo se culturalmente giustificati. Ma non è una risposta, solo una inevitabile presa d’atto.
L’inevitabilità cui mi riferivo è ampiamente dimostrata proprio dal caso avvenuto a Watseka, una cittadina dell’Illinois che fece da palcoscenico ad uno dei più straordinari fenomeni di ‘possessione’ mai registrati negli annali della psichiatria, o, per dirla con William James, “il caso di ‘possessione’ in senso moderno più estremo di cui si abbia notizia”.
Quello che poi venne definito “il miracolo di Watseka” dal Dr. E.W. Stevens, un medico spiritista, nel 1879, e qui riproposto, ebbe come protagonista Mary Laurency Vennum nata del villaggio di Milford a poche miglia da Watseka, dove la famiglia Vennum, spiritista, si trasferì nel 1871, prendendo casa a circa duecento metri di distanza dalla casa di una certa famiglia Roff, di provata fede spiritista anch’essa. I rapporti furono praticamente inesistenti, a parte una breve visita di cortesia. Nel 1871 i Vennum si trasferirono molto lontano dai Roff, mantenendo rapporti molto sporadici e formali.
Nel luglio del 1877 Laurency iniziò ad avere delle crisi, con perdita di coscienza. Il signor Roff, saputolo ed avendo perso una figlia per un disturbo simile – sembra una grave forma di epilessia – si prodigò a chiamare un medico amico, appunto il dr. Stevens, che, nel gennaio del 1878, andò a casa Vennum, dove Mary Laurency era in piena crisi, non solo motoria, ma anche psichica. Disse di essere prima una vecchia che si chiamava Katrina Hogan poi un giovane di nome Willie Cannning. A questo punto ebbe una crisi talmente violenta che, per calmarla, Stevens dovette ipnotizzarla. In stato di ipnosi disse di essere preda di cattivi spiriti, al che Stevens le suggerì di cercarne uno buono, e così fece. Lo spirito buono era quello di Mary Roff, la figlia defunta dei Roff. L’indomani Laurency apparve totalmente posseduta dallo ‘spirito’ di Mary Roff e cominciò a chiedere insistentemente della sua famiglia. Appariva calma, tranquilla, le crisi erano scomparse. Era invece comparso un irresistibile desiderio di trasferirsi a casa ‘sua’ dai Roff, e l’insistenza fu tale che il trasferimento avvenne, l’11 febbraio del 1878. Per Laurency/Mary, i membri della sua famiglia originaria erano diventati solo buoni amici. Il bello è che l’integrazione fu totale: conosceva usi, abitudini, storie. Era Mary Roff. In quel periodo avvennero anche altri fenomeni inquietanti. Un pomeriggio, per esempio, avvertì i suoi nuovi familiari che il “fratello” Frank Roff doveva essere attentamente vigilato perché la notte sarebbe stato molto male. Anche se in quel momento Frank stava benissimo. Le sue insistenze furono tali che i Roff chiamarono il dottor Stevens, apparentemente senza motivo. Ma la notte Frank stette veramente male e la presenza di Stevens fu fondamentale perché ottenesse le cure necessarie. Fu solo nei primi di maggio che Laurency cominciò ad avere timidi ricordi della sua vera famiglia. E ad un certo momento Mary annunciò che avrebbe lasciato definitivamente il corpo di Laurency, fornendo pure la data: 21 maggio. E così avvenne. Laurency tornò in famiglia, come se nulla fosse accaduto e senza alcun ricordo della sua esperienza. Incontrato il dottor Stevens non lo riconobbe e questi dovette essergli presentato come se fosse una nuova conoscenza. Ma il giorno dopo si presentò da Stevens dicendogli che Mary Roff l’aveva incaricata di ringraziarlo per le cure che le aveva fornito. Da allora la vita di Laurency fu assolutamente normale. Mary Roff continuò a presentarsi, ma in stato di trance e sporadicamente. Quando Laurency ebbe il primo di undici figli (nel frattempo si era sposata con un agricoltore, facendo una vita assolutamente normale), Mary la fece cadere in trance per evitarle i dolori del parto.
Sul “miracolo” di Watseka, come è ovvio, si è attivata una discussione di proporzioni gigantesche, sin dalle origini della ricerca psichica. Questo caso ha infatti caratteristiche tali da sembrare potere confermare una ipotesi di tipo spiritico. Non a caso se ne sono occupati studiosi del calibro di Richard Hodgson, che, in una relazione alla Society for Psychical Research il 14 giugno del 1901 (letta da Frank Podmore, uno dei membri èpù influenti della della Society) e dopo essere stato personalmente a Watseka per intervistare tutti i testimoni ancora in vita, concluse che Stevens aveva raccontato con precisione i fatti e che il fenomeno di Watseka confermava l’ipotesi della possessione spiritica. Lo stesso parere venne espresso dal nostro Gastone De Boni, ed in genere gli spiritisti considerano il ‘miracolo’ di Watseka una prova molto forte in favore dell’ipotesi spiritica. Ma non tutti la pensano così. Studiosi come Nandor Fodor negli Stati Uniti hanno assunto posizioni per così dire intermedie, mentre in Italia, per esempio, il mio rimpianto amico Massimo Inardi assunse una posizione più scettica.
Esiste un libro che contiene tutta la documentazione disponibile sul ‘miracolo di Watseka”, dalla relazione di E. Winchester Stevens, pubblicata il 19 luglio 1878 sul Religio-Philosophical Journal, alle lettere inviate all’epoca dai lettori ad direttore della medesima rivista, ed altro ancora, compresa una introduzione di J.M. Pebles, medico e spiritista anch’egli, che ebbe in cura il signor Raff.
La preziosità di questo volumetto consiste nell’aprire una vera finestra sul cortile dei primordi della ricerca psichica. In una ideale passerella si vedono sfilare personaggi dai contorni quasi mitici: da J. R. Buchanan (medico, precursore della ricerca psichica e indagatore del paranormale), a Pebles, allo stesso Stevens, per poi passare a studiosi al confronto molto più noti, come Richard Hodgson o William James. Le affermazioni di questi ‘precursori’, così come quelle degli studiosi successivi, ci mostrano quanto la ricerca psichica sia intimamente connessa con lo spiritismo e questo, a sua volta, con una forte religiosità di matrice protestante. La scarsità di documenti pubblicati su questo periodo, anche nell’ambito degli studi storici sulle origini della ricerca psichica, rende questo volumetto davvero di grande interesse.
Personalmente mi trovo abbastanza in imbarazzo nel valutare questo caso, celebrato come straordinario da tutti i testi sulla storia della ricerca psichica. Pur non mettendo in dubbio, per la mole di testimonianze disponibili, che esso sia realmente accaduto, non credo esista alcuna evidenza della sua natura autenticamente ‘paranormale’. Non posso infatti non valutare il ‘miracolo di Watseka” da due prospettive diverse: da un lato infatti ci sono le mie frequentazioni – e competenze, se volete – nel campo del paranormale, dall’altro la mia professione di psichiatra. E se dovessi privilegiare da quale punto di vista valutare prioritariamente il ‘miracolo di Watseka’ opterei sicuramente per quello psichiatrico. Il caso di Laurency presenta tutte le caratteristiche di quello che il DSM (Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali, un fondamentale strumento di classificazione diagnostica in psichiatria) chiama Disturbo da Trance Dissociativa e che considera nel capitolo “Criteri e Assi utilizzabili per ulteriori studi” (in realtà l’Appendice B del testo). Non si tratta di una lettura patologica del paranormale, bensì dell’uso di un criterio che appare ragionevole: la trance dissociativa non ha alcunché di patologico se non quando “non è prevista dalla persona come parte normale di una pratica culturale o religiosa, e che causa disagio clinicamente significativo oppure menomazione funzionale”. Mi pare che i dati ci siano tutti. Ed ecco come vengono descritti i criteri di ricerca per una condizione specifica del disturbo da trance dissociativa che viene definita “trance da possessione”: “una alterazione singola o episodica dello stato di coscienza, caratterizzata dal rimpiazzamento del senso abituale dell’identità personale da parte di una nuova identità. Ciò viene attribuito alla influenza di uno spirito, di una potenza, di una divinità o di un’altra persona”. Sembra che il DSM descriva il caso di Laurency con impressionante precisione. E gli aspetti paranormali? – si chiederà il lettore. Una lettura non esclude l’altra. Il problema è decidere qual è la via maestra per la comprensione e l’interpretazione dei fenomeni misteriosi che comunque accadono nell’ambito dell’esperienza umana.
Giovanni Iannuzzo