Si tratta forse di uno dei più strani comportamenti umani. Non è patologico, ma nemmeno proprio normale. Non è particolarmente pericoloso, ma nemmeno innocuo. Non è lesivo degli altri e non è particolarmente nei confronti di se stessi. L’unico aggettivo che sembra poterlo definire è semplicemente ‘strano’. Stiamo parlando della ‘pirobazia’, termine che deriva dal greco (pŷr pyrós, fuoco) e -bazia (per indicare acrobazia). Significa, cioè: “camminare sul fuoco”. E, soprattutto, farlo senza motivi concreti, di necessità, ma semplicemente per compiere un rito.
Di fatto, non sappiamo bene quando sia nato il rito della pirobazia. Sappiamo che affrontare la prova del fuoco (insieme ad altre) era tipica delle Ordalie praticate dai popoli del Nord Europa nell’Alto Medioevo, come prova per sottoporsi al giudizio di Dio nel caso di processi giudiziari. E d’altra parte la prova di sfidare il fuoco è da sempre connessa a tradizioni e rituali esoterici. Tutt’ora nel linguaggio comune il detto ‘affrontare la prova del fuoco’ sta ad indicare un evento importante che implica una dimostrazione di grande coraggio. In realtà la pirobazia è un rito tradizionale, presumibilmente di origine tribale, praticato da diverse popolazioni e presente in molte culture, in particolare nelle isole Figi, dai clan Sawaw, in Polinesia e, come abbiamo già visto come rito cristiano-ortodosso delle Anasteria anche in Grecia o in Bulgaria, dove il rito viene praticato però da un uomo e da una donna (nestinari). Curioso il fatto che tale rito è considerato dall’UNESCO patrimonio immateriale dell’umanità. Altrettanto curioso è il fatto che questa pratica viene anche utilizzata come attività formativa per finalità direttive e manageriali, come incentivo alla coesione di gruppo e in alcune pratiche di autoaiuto per rafforzare l’autostima individuale.
Stregoni, membri di particolari comunità o adepti di alcuni culti sembrano essere in grado di camminare sul fuoco senza ustionarsi. Etnologi, esploratori o studiosi di diverse discipline hanno osservato e riportato riporta numerosi casi di questo tipo. Già nel 1894 e 1895, l’etnologo Thompson riferì di una cerimonia detta Vilavilareivo durante la quale i membri del clan Na ilankata dell’isola di Mbenga, nell’arcipelago delle Figi, mostrarono la capacità di attraversare una fornace in virtù del loro potere sul fuoco. Egli descrisse accuratamente il luogo che i passeggiatori sul fuoco dovevano attraversare: un fosso scavato in una piccola radura a poca distanza dal mare, poco profonda e larga diciannove piedi. Grossi ceppi in fiamme e grosse pietre rotonde erano poste nella fossa sino a quando il luogo della prova non era che: “un ammasso al calor bianco, da cui sprizzavano piccole lingue di fiamme bianche, e il calore era così intenso che in confronto il sole bruciante costituiva un gradevole sollievo”. Nella parte successiva della cerimonia venne spianato il fossato e cominciò la passeggiata. Venne anche fatta una prova empirica: una delle pietre sulle quali i membri del clan avevano passeggiato venne messa a contatto con un fazzoletto che si bruciò in quella parte che aveva toccato la pietra direttamente e s’ingiallì per il resto. I piedi dei camminatori, alla fine della cerimonia, erano invece intatti. E’ interessante notare che la capacità di non bruciarsi poteva essere contagiata, fatto, questo, che si ritrova in numerose relazioni sui fenomeni e nella letterature riguardante i fenomeni medianici. Un altro viaggiatore, Ocken, constatò anch’egli, nel 1889 questo fenomeno nelle Figi e riportò più dettagliate informazioni concernenti per esempio i valori della temperatura della fornace che i membri del clan dovevano attraversare. E ancora sono stati constatati, alla fine del XIX secolo, fenomeni di incombustibilità nell’isola Baratonga, nell’arcipelago delle Cook. In questo caso l’osservatore (Gudgeon) volle sperimentare di persona e fece lui stesso la prova di attraversare la fornace ardente insieme con alcuni suoi collaboratori e solo uno rimase ustionato (gli europei che attraversarono la fornace erano quattro). E questo è un dato curioso: infatti è stato ripetutamente notato che la capacità di camminare sulle braci ardenti è in qualche modo ‘contagiosa’. E che siano davvero ardenti non c’è dubbio. In un esperimento, lo studioso Roth notò, nel 1933 che la temperatura delle pietre era tanto elevata da carbonizzare l’estremità delle pertiche con le quali le pietre venivano uniformemente sparse nel fossato. Sono state anche cercate delle spiegazioni fisiche che dessero ragione della apparente disinvoltura con cui i danzatori affrontavano queste prove di apparente incombustibilità- Fulton, per esempio cercò di spiegare dell’incombustibilità apparente durante la cerimonia del Vilavilareivo con le caratteristiche fisiche delle pietre che venivano utilizzate per riempire il fossato (che assorbivano, secondo l’autore, il calore e lo irradiavano molto lentamente), ma questa interpretazione venne rifiutata per la sua limitatezza persino da Ernesto De Martino, il caposcuola dell’etnologia italiana. E non sono mancati anche studi sperimentali abbastanza estesi. Uno di essi, forse il più interessante, fu compiuto da Kenne, (che riportò la ricerca in un suo libro del 1949) all’università delle Haway: 576 persone passeggiarono su uno strato di carboni ardenti lungo quattro metri e mezzo. Ad un’analisi compiuta alla fine dell’esperimento, soltanto nove di essi mostravano segni di ustioni.
Uno studioso italiano, Piero Cassoli, si occupò anch’egli nel 1958 della pirobazia presso gli Anastenaridi, una setta religiosa greca la cui origine è avvolta dalla leggenda e sulla quale sono stati compiuti numerosi studi relativamente alla presunta incombustibilità mostrata dai suoi membri nel corso di una tipica cerimonia religiosa. La leggenda degli Anastenaridi ci viene così raccontata dallo stesso Cassoli:
“Si narra che nel 1257, o press’a poco, nel villaggio di Kosti, nel nord della Tracia, la piccola chiesa di San Costantino un giorno prese fuoco. Kosti è abbreviazione di San Costantino. Mentre i poveri abitanti del paese stavano ad assistere impotenti alla distruzione della loro chiesetta, udirono dei sospiri lamentosi che provenivano dal fuoco. Poiché, contandosi, si accorsero che erano tutti presenti, pensarono che fossero le loro vecchie Icone che, di tra le fiamme, chiedevano aiuto. Si credeva, infatti che le Icone potessero, in certi momenti, parlare. Alcuni volenterosi si buttarono nel fuoco, presero le otto Icone dalla Chiesa e, sotto gli attoniti sguardi dei villici, uscirono dalle fiamme senza che neppure un capello si fosse bruciato. Le Icone divennero proprietà privata dei salvatori e furono trasmesse di generazione in generazione fino ad oggi”. Cassoli osservò alcuni esempi di passeggiata sul fuoco. Così egli descrive una delle cerimonie delle quali fu testimone:
“Si forma una coltre di brace viva di circa 10-15 cm. di spessore, su una superficie di 14 piedi per 12. Nel buio, le braci brillano illuminando i visi di quelli che, come noi, circondano il braciere. Sto pensando tra me, e lo comunico ad alta voce ai miei compagni: “E’ impossibile che entrino dentro a quella fornace. Ora succederà qualcosa per cui l’entrata sarà rimandata ad un momento più ragionevole”. Non ho neppure terminato di concretare il mio pensiero che vedo Yavassin gettare le scarpe, che erano state precedentemente slacciate, mentre altri pure si cavano calze e scarpe. E immediatamente dopo lo vedo entrare a passo tranquillo e ritmato di danza in mezzo a quel forno. Per attraversare il braciere sono necessari sette passi. Subito lo segue una donna che entra nel fuoco non pestando la brace, bensì strisciando i piedi sotto la coltre ardente, sicché i tizzoni vengono a scorrerle sopra la caviglia, come tracciando un solco. Il suo procedere è lento e fa circa sei passi striscianti sotto la brace prima di uscirne. Da quel momento è una sarabanda, un’orgia indescrivibile che si svolge sotto i nostri occhi attoniti. Quattro sono le persone che si alternano sul braciere, due uomini e due donne. Ad un tratto una giovane ragazza di venticinque anni circa si cava le scarpe e, fra le evidenti preghiere della madre che tenta di dissuaderla, si getta anche lei sul fuoco. Parlare di esaltazione isterica, di rito orgiastico, di possessione mistica, di furore della folla non è certo troppo. Il tamburo, da ore, non ha interrotto il suo ritmo ossessionante, anche le guardie vengono prese dall’esaltazione e, per allontanare dal fuoco la gente che vorrebbe gettarvisi, usano mezzi quali solo una persona estremamente eccitata e incontrollata può usare (…). Io cerco di convincermi che non ho sognato e che quello che ho veduto è proprio vero. La mente mi si riempie di dubbi e di timori”.
Ma come fanno?
E’ chiaro che il rischio di ustioni nella pratica della pirobazia è elevato, ma meno di quanto si possa pensare. In realtà esistono delle tecniche, o se volete degli accorgimenti, che consentono di eseguire questo rito in maniera relativamente sicura. Fra i più ovvi vi sono quelli di evitare tratti di percorso particolarmente lunghi, correre durante il rito (correndo il piede affonda maggiormente nelle braci ed il rischio di ustione aumenterebbe). In genere il tempo di contatto fra il piede e le braci è abbastanza breve, quanto basta per evitare di ustionarsi. Inoltre i piedi dei ‘camminatori sul fuoco’ devono essere di norma assolutamente asciutti perché i piedi bagnati potrebbero favorire l’adesione delle braci al piede, aumentando quindi il periodo di contatto e la possibilità di ustione. Inoltre, le braci quindi non devono essere fresche, perché in tal caso conterrebbero ancora una percentuale di acqua sufficiente a elevare la conduttività termica (l’acqua ha una conduttività termica molto elevata).
Bisogna inoltre considerare le componenti psicologiche, per esempio, la ridotta percezione del dolore in condizioni di importante eccitazione orgiastica, che spesso caratterizza queste cerimonie, con meccanismi che arrivano a mimare vere situazioni quasi isteriche, condizioni, cioè, nelle quali si assiste ad una significazione riduzione della percezione del dolore. La camminata sul fuoco, infatti è un importante evento collettivo caratterizzato in genere da una diffusa eccitazione collettiva che, come sostenne Emile Durkheim, si traduce in una potente sensazione di solidarietà e condivisione, rafforzata anche dalla possibilità che emergano veri stati alterati di coscienza. Sino può persino arrivare, come è stato visto durante una esperienza di firewalking in Spagna, nel villaggio di San Pedro Manrique, addirittura ad una sincronizzazione dei ritmi cardiaci fra i ‘passeggiatori’ e chi assisteva alla cerimonia, il che lascia ipotizzare insomma una piena condivisione non solo del rito, ma anche degli stati emotivi e psicofisiologici.
Di fatto non è ancora pervenuti ad una spiegazione scientifica universalmente accettata del fenomeno delle “passeggiate sul fuoco”. Ma questo, trattando di fenomeni legati profondamente a pratiche rituali culturali, bisogna ammettere che è la regola, più che l’eccezione…
Giovanni Iannuzzo