La casata ligure dei Fieschi fu il ramo più importante della numerosa stirpe dei conti di Lavagna, un gruppo consortile composto da varie famiglie discendenti da uno stipite comune e che, intorno alla metà del XII secolo, ebbero diversi soprannomi distintivi, successivamente tramandati come cognomi alla loro progenie: Bianchi, Cavarunchi, Cogorno, Conti, Della Torre, Fieschi, Penelli, Rapallini, Ravaschieri, Scorza, Secco, San Salvatore ed altri.
Le antiche origini del casato dei Conti di Lavagna sono controverse e per una disamina delle varie ipotesi rimandiamo il lettore, per eventuali ulteriori approfondimenti, al documentato saggio di Marina Firpo (cfr. M. Firpo, La famiglia Fieschi dei Conti di Lavagna. Strutture familiari a Genova e nel contado fra XII e XIII secolo, Collana di Studi Fondazione Conservatorio Fieschi fondata da Agostino Crosa di Vergagni, De Ferrari, Genova 2006, 332 pp.).
La bibliografia sui Fieschi è alquanto corposa, per cui rimandiamo al lettore ai lavori da noi consultati che, a loro volta, contengono ampi riferimenti.
I Fieschi discendevano da un appartenente alla consorteria dei conti di Lavagna, Ugo soprannominato Fliscus, documentato già ai primi del Duecento (cfr. G. Petti Balbi, I “conti” e la “contea” di Lavagna, Genova 1984, p. 24; M. Firpo, La famiglia Fieschi dei Conti di Lavagna…cit.; A. G. Remedi, Il cardinale Manfredo da Lavagna e l’origine del cognome Fieschi da alcuni documenti dugenteschi inerenti i rapporti fra i conti di Lavagna, Milano e l’Impero in D. Calcagno, a cura di, “I Fieschi tra Papato e Impero”, Atti del convegno, Lavagna, 18 dicembre 1994, pp. 285-322).
La casata dei Fieschi, nel XIII secolo si divise in due distinte diramazioni: di Torriglia (Toriggia in ligure, oggi comune della città metropolitana di Genova) e di Savignone (Savignon in ligure, oggi comune della città metropolitana di Genova), rispettivamente discendenti da due figli di Ugo, Tedisio e Opizzone.
La casata annoverò diversi personaggi illustri: diede alla chiesa cattolica due papi, Sinibaldo di Ugo (Manarola, 1195 c. – Napoli, 1254, pontefice con il nome di Innocenzo IV dal 1243 al 1254) ed il nipote Ottobuono (Genova, 1205 c. – Viterbo, 1276, pontefice con il nome di Adriano V per soli 39 giorni), e ben settantadue cardinali (cfr. F. Federici, Trattato della famiglia Fiesca, ms. sec. XVII, Biblioteca civica Berio, Genova, ff. 221, 236-241v; L. T. Belgrano, Illustrazione del Registro arcivescovile, in “Atti della Società Ligure di Storia Patria”, vol. II, parte I-II, Genova 1862; E. Berger, cur., Les registres de Innocent IV, Paris 1884-1897, ad undicem; N. Schöpp, Papst Hadrian V, Heidelberg 1916, ad indicem). Alla famiglia appartennero anche due religiose, entrambe vissute fra il sec. XV e il XVI: la mistica Caterina o Caterinetta Fieschi (c. 1447-1510), figlia di Giacomo e di Franceschetta di Negro (Santa Caterina da Genova, cfr. G. D. Gordini, Caterina da Genova, in “Bibliotheca Sanctorum”, III, coll. 984-989) e suor Tommasina O. P. (c. 1448-1534), mistica, pittrice e ricamatrice (cfr. U. Bonzi, Fieschi (Tommasina), in “Dictionnaire de spiritualité ascétique et mystique, doctrine et histoire”, Beauchesne, Paris, V, 1964, coll. 332-336).
Come ricostruito da Marina Firpo (cfr. M. Firpo, La famiglia Fieschi dei Conti di Lavagna…cit.), attraverso una dettagliata ricerca archivistica, i Fieschi si espansero nell’Appennino tosco-ligure-emiliano, possedendo vaste zone-chiave per il controllo del transito appenninico. A Genova, grazie ad un’accorta politica matrimoniale, contrassero legami con altre importanti casate nobiliari (Bulgaro, Camilla, Grillo, della Volta, Doria, de Mari, Malaspina etc.). Inoltre, nel corso dei secoli contrassero parentele con importanti casate italiane, quali i Visconti, i Savoia, gli Este, i Gonzaga etc.
Nei loro possedimenti fondarono numerosi edifici ecclesiastici (chiese private e conventi appartenenti ad ordini mendicanti, soprattutto francescani). Tra le chiese di patronato appare emblematica quella di Sant’Adriano, all’interno dei possedimenti della casata siti a Trigoso che, oltre ad essere avulsa dalla giurisdizione dell’arcivescovo di Genova, era legata di diritto al patronato dei membri ecclesiastici della famiglia, ai quali spettava l’elezione del preposito e dei componenti del capitolo. Nel 1336, il cardinale Luca Fieschi di Nicolò, stabilì che tutto il suo patrimonio fosse destinato alla costruzione di una ulteriore chiesa, giuridicamente legata a Sant’Adriano, che avrebbe dovuto derivare la sua denominazione dal suo titolo cardinalizio, Santa Maria in Via Lata, e che avrebbe dovuto sorgere in Genova, sulla collina di Carignano, dove il padre aveva edificato un vero e proprio quartiere gentilizio (cfr. M. Firpo, I Fieschi. Potere, chiesa e territorio. Sant’Adriano di Trigoso e Santa Maria in Via Lata, Frilli, Genova 2007, 320 pp.). Nel borgo di San Salvatore (oggi frazione del comune di Cogorno, nella città metropolitana di Genova), invece, papa Innocenzo IV a metà del Duecento, aveva dato l’avvio all’edificazione della basilica del SS. Salvatore, che divenne la sepoltura gentilizia elettiva della stirpe dei Fieschi.
Gian Luigi (Gottardo) Fieschi Fregoso (c. 1441-1510) figlio di Gian Luigi (di Antonio fu Nicolò), del ramo di Torriglia, fu l’artefice dell’apogeo della famiglia e ricoprì lungamente l’ufficio di ammiraglio della repubblica; fu il capo della nobiltà vecchia e si distinse per una accorta opera di mediazione tra le diverse fazioni genovesi (cfr. M. Traxino, Gian Luigi Fiesco il Grande e la sua opera equilibratrice tra le fazioni genovesi, in D. Calcagno, a cura di, I Fieschi tra Papato e Impero, atti del convegno (Lavagna, 18 dicembre 1994), Lavagna 1997, pp. 269-285).
Sinibaldo Fieschi Del Carretto (c. 1485-1532), ultimogenito di Gian Luigi Fieschi Fregoso, per la prematura morte dei fratelli Gerolamo e Scipione, nel 1520 ereditò tutti titoli e domini feudali della famiglia. Fu un abile continuatore della politica paterna, volta ad una azione equilibratrice in seno alle fazioni della città di Genova. Egli passò alla storia anche per la sua fastosa e signorile munificenza che aveva il suo fulcro nel palazzo di Via Lata in Carignano (che per suo volere fu ingrandito ed impreziosito, dotandolo anche di una cospicua biblioteca). Però, tutte le enormi spese affrontate indebitarono la casata intaccandone la potenza economica. Alla sua morte, il figlio maggiore, Gian Luigi Fieschi Della Rovere (c. 1522-1547), dall’eredità paterna ricevette un complesso ed articolato patrimonio feudale, che le fonti spagnole indicano come Estado de los Fliscos, comprendente ben 33 castelli che permettevano il controllo delle principali strade appenniniche che fungevano da collegamento con la pianura padana. Nel 1547, riprendendo la politica filofrancese della casata, ordì la disastrosa e tragica congiura contro i Doria (divenuti ormai i dominatori di Genova con l’appoggio spagnolo) che portò alla confisca dei beni ed alla distruzione del fastoso palazzo di Via Lata, nonché il brillamento del castello di Montoggio. Scipione Fieschi, fu l’unico di quattro fratelli che sopravvisse e che dopo vari passaggi riparò nel regno di Francia sotto la protezione di Caterina de’ Medici ed il cognome della casata divenne de Fiesque. Nel 1548, l’imperatore Carlo V, con apposito diploma, concedette ad Ettore Fieschi fu Giacomo, del ramo di Savignone, per la fedeltà dimostrata nei confronti dell’impero durante la congiura precitata, l’octava pars del feudo omonimo unita alle tre “ville” di Sorrivi, Braia e Ternano, allora ricadenti nella giurisdizione di Montoggio [cfr. M. Firpo, Introduzione, in G. B. Crosa di Vergagni, I Diplomi imperiali per i feudi di Savignone, Mongiardino, Vergagni (Fieschi – Spinola – Crosa), Collana di Studi Fondazione Conservatorio Fieschi, Frilli, Genova 2008, p. 12 e doc. I]. Iniziò così la decadenza del ramo di Torriglia della casata, mentre quello di Savignone continuò a fornire funzionari governativi e diplomatici (cfr. M. Firpo, Gerolamo Fieschi. Un aristocratico genovese tra Repubblica e Impero 1701-1784, Collana di Studi Fondazione Conservatorio Fieschi, Sagep, Genova 2022, 256 pp.).
Nel 1995 si è avuta la nascita dell’Istituto di Studi sui Conti di Lavagna ISCL (cfr. https://istitutodistudisuicontidilavagna.weebly.com/) con sede a Genova. Ciò è avvenuto in seguito all’esperienza maturata dall’organizzazione del convegno “I Fieschi tra Papato ed Impero” (Lavagna, 18 dicembre 1994) e successiva pubblicazione (Lavagna 1997) dei relativi atti, a cura di Daniele Calcagno, con prefazione di Gabriella Airaldi.
Relativamente a Termini Imerese, le nostre ricerche d’archivio hanno permesso di rintracciare negli anni 1562 e 1563 un Nicolò Fieschi, esponente della casata omonima, sinora non noto, che nei rogiti notarili di notar Tommaso Bertòlo (che teneva banco in detta città), risulta costantemente indicato come stabilmente dimorante (degens) nella Splendidissima, anche se non ancora divenuto cittadino, con il titolo nobiliare di Magnifico, la qualifica professionale di mercator e l’indicazione di provenienza januens.
Il primi due documenti rintracciati dagli scriventi si collocano allo scadere dell’anno 1562. Infatti, il 3 dicembre VI Indizione 1562 (corrispondente al 13 di detto mese ed anno, secondo il vigente calendario gregoriano, d’ora in poi cg), agli atti del detto notaio termitano, furono stipulati due rogiti che riguardano transazioni commerciali operate dal Nicolò Fieschi, relative soprattutto alla compravendita di partite di cereali e prodotti caseari stagionati.
Nel primo atto notarile, l’Honorabilis Magister Vincenzo Rizzo de Regno Neapolis si impegnava a pagare la somma di onze 10 e tarì 12 al Magnifico Nicolò Fieschi (ms. Fesco), per una partita di cacio di cui non è fornita alcuna ulteriore indicazione relativa alla quantità in peso. Nel detto registro notarile tale atto, però appare cassato e solo il 13 agosto (23 agosto cg) VI Indizione 1563 fu redatta a tergo la postilla, nella quale il Magnifico Nicolao Flisco ricevette dal detto Rizzo, il compenso per la precitata partita di cacio (cfr. Archivio di Stato di Palermo, Sezione di Termini Imerese, d’ora in poi ASPT, notar Tommaso Bertòlo di Termini, vol 12954, f, 235v). Nel secondo rogito, l’honorabilis Sabbatus Greco, civis thermarum avendo sposato una termitana (propter ductionem uxoris), ricevette dal detto Nicolao Flesco, onza 1 per pagamento di merci acquistate su suo incarico nella vicina Caccamo (in terre caccabi). L’onza (od oncia) fu una moneta di conto, cioè puramente nominale, che ebbe corso nel Regno di Sicilia, corrispondente a 30 tarì, a 600 grani (o grana) ed a 3600 pìccioli.
Una sequela di ulteriori attestazioni documentarie, relative al Magnifico Nicolò Fieschi, sono state da noi reperite nei registri de detto notaio a partire del mese di settembre 1563, con il quale iniziava il successivo anno VII Indizione 1563-64.
Il XX settembre (30 settembre cg) VII indizione 1563, il Magnifico Nicolò Fieschi (Flesco) dichiarò che furono esibite e presentate al Magnifico Rainerio Serravallino, pisano, pubblico magazziniere del caricatore di detta città, certe lettere riguardanti la consegna di una partita di cantàri di cacio (cfr. ASPT, 1562-63 vol. 12954 ff. 15r-16v).
Ricordiamo che il cantàro (derivante dal latino centenariŭs, attraverso il neo-greco κεντηνάρι e l’arabo qinṭār, da cui trae origine anche l’italiano quintale attraverso il castigliano) era un’unità di misura di peso, vigente in Sicilia prima dell’introduzione del sistema metrico, pari a 79,3419 kg.
Il magazziniere era un ufficiale del locale Caricatore demaniale (complesso di magazzini per lo stoccaggio delle vettovaglie ed il successivo imbarco, previo dazio, per l’esportazione), addetto alla ricezione in deposito, con la mansione di riscuotere le concessioni di estrazione di vettovaglie (tratte), nonché i diversi diritti sull’esportazione, fungendo altresì da intermediario delle transazioni commerciali, lucrando sull’interesse legato alle oscillazioni positive dei prezzi di mercato. Nei decenni successivi, il notevole potere di questi funzionari fu in un certo qual modo arginato da una sequela di prammatiche (1585, 1587, 1594, 1604, cfr. C. Fimina, R. Potentianus e P. Amico, Pragmaticarum Regni Siciliæ novissima collectio, 2 voll., Orlando, Panormi 1636-37, II, ad indicem) atte a limitare l’ampia discrezionalità ed i possibili conseguenti abusi, derivanti dall’esercizio di tale carica.
Il rogito in questione riferisce che, agli atti di notar Giacomo (jacobo) Corsello di Palermo, era stato in precedenza stipulato l’atto di vendita della partita di formaggi. Da notare che nell’inventario del fondo notarile dell’Archivio di Stato di Palermo, invece, è attestato il notaio Giacomo Corsitto, documentato dal 1533 al 1567 (cfr. M. Vesco, a cura di, Fondo Notarile (già Notai Defunti). Elenco alfabetico. Stanze I-VII, Soprintendenza Archivistica della Sicilia – Archivio di Stato di Palermo, Palermo 2022, ad indicem). In virtù della detta stipula, il giorno XXXI agosto (10 settembre gregoriano) VIa Indizione 1563, nella città di Palermo, 200 cantàri di formaggio erano stati caricati per essere trasportati al «Caricatore della marina di Termini» ad ordine del detto Serravallino. Si trattava di formaggio «amezato» (maturo), della stagione precedente, del peso complessivo di 200 cantàri, al prezzo di tarì 43 il cantàro («formagi amezato della staxione passata cantareorum dugento et sono per tanti ve[n]dutoli li iorni passati per tutto il presente mese a tarì 43 lo cantàro»)
Questo rogito appare emblematico, relativamente ad un’attività particolarmente ricercata dai mercanti liguri dimoranti a Termini Imerese, cioè l’acquisto e la vendita di prodotti caseari ben stagionati. L’attività di immagazzinamento e di commercializzazione del formaggio era spesso gestita da società di liguri, come nel caso specifico che stiamo trattando. Emergono, quindi, nuovi aspetti relativi alle relazioni tra i vari hombres de negocios di origine ligure che operavano nella piazza commerciale di Termini Imerese, scalo marittimo di riferimento di un ampio e fertile entroterra collinare e montuoso con il suo Caricatore. La cittadina imerese esercitava la sua preminenza economica su una larga porzione della Sicilia centro settentrionale, cioè gran parte dell’attuale comprensorio Termini-Cefalù-Madonie, per il quale rappresentava il punto di raccolta cerealicolo e di vendita dei prodotti agro-pastorali, oltre che il mercato di approvvigionamento di mercanzie e manufatti d’importazione. Termini Imerese, pertanto, costituisce un osservatorio privilegiato sulla presenza dei mercanti genovesi nelle città portuali siciliane del Cinquecento e del Seicento. Il trasporto dei formaggi dalla piazza commerciale di Palermo ai magazzini del Caricatore di Termini Imerese, doveva essere condotto con la massima perizia, evitando di rompere le pezze che, di conseguenza, avrebbero subito un immediato deprezzamento. Il rogito non dà ragguagli sulla sua destinazione finale del prodotto caseario, anche se è plausibile ipotizzare il trasporto extra regnum che doveva avvenire con una certa sollecitudine, al fine di contenere i costi di ancoraggio che rappresentavano una spesa non indifferente a carico degli armatori.
Nel rogito in questione, inoltre, sono altresì riportati i vari passaggi di consegna della partita casearia, all’interno di un gruppo di mercanti liguri che fungevano da intermediari: da Vincenzo La Rocca a Tiberio Pallavicino, da costui a Nicolò Spinola figlio di Domenico, indi a Giuseppe Costa, per giungere finalmente a Nicolò Fieschi: «per vincenzo la Rocca le sopra detti cantàri 200 di formagi amezati le consegnerete al magnifico tiberio palavicino»; «e per me tiberio palavicino le sopra detti cantarata 200 di formagi le consignereti [sic, consegnerete] al magnifico nicolò spinola de dominici pertanti li ho venduti a tt.[tarì] 42,5 lo cantàro et del prezo [sic] mi contento per banco e per me nicolò spinola consignereti [sic, consegnerete] le restanti di detti cantarato 200 de formagi al magnifico joseph costa». «Io joseph costa ho reciputo [sic, ricevuto] li sopra detti ca[n]tarata ducento di formagi da voi magnifico raynerj serravallino supra cantarata 100 dal magnifico nicolò spinola de dominici et le restanti cantarata 100 li ho fatti bonj al magnifico nardo di alongi pro parti del magnifico vincenzo spinola dico cantarata 200 unde ut in futurum appartengono per sortij magnifici nicolao flisco». Testimoni alla stipula del rogito furono il nobile Gerolamo Carbone, il Magnifico Simone Rocca ed il Magnifico Nicolò Garifo (cfr. ASPT, atti Notar Tommaso Bertolo di Termini Imerese, anno indizionale 1562-63, vol. 12954. ff. 15r-16v). Da notare che dei tre firmatari, due appartenevano a casate nobiliari di origine ligure che, in quel torno di tempo, erano presenti a Termini Imerese. Il detto Magnifico Simone Rocca appare menzionato in un rogito del XXIII settembre di detto anno, contenuto nel detto registro notarile, con l’indicazione di «mercator et januens» (f. 18). Del resto, sia i Carbone, sia i Rocca, infatti, appaiono menzionati nello stemmario manoscritto delle famiglie nobili liguri, opera di Giovanni Andrea Musso, che annovera ben 2569 insegne araldiche (cfr. G. A. Musso, La università delle insegne ligustiche delineate da Gio. Andrea Musso, manoscritto cartaceo datato 1680 della Biblioteca civica Berio di Genova, ai segni m.r.C.f.2.22, rispettivamente al n. 344 ed ai nn. 90 e 162). Infine, è da notare il coinvolgimento nella transazione commerciale anche del Magnifico Leonardo (nardo) di Alongi (o Alonge), personaggio appartenente ad una illustre casata nobiliare termitana, dedita ai commerci e legata al locale Caricatore. Leonardo, nell’anno indizionale 1573-1574, fu Governatore della Cappella del SS. Sacramento della Maggior Chiesa di Termini assieme al Magnifico Andrea Bertòlo ed all’Honorabilis Magister Antonino Maglietta di Pietro. Inoltre, Giacomo de Alonge, figlio del detto Magnifico Leonardo, fu Regio Pesatore (Regio Pisature) del Caricatore di Termini, come appare nel suo atto di morte, redatto il 24 febbraio IIIa Indizione 1620, essendo sepolto nella chiesa di Santa Maria della Misericordia (cfr. Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese d’ora in poi AME, Defunti, vol. 92, 1615-22, f. 75v).
Due giorni dopo del rogito precedente, il XXII settembre (2 ottobre cg) VII indizione 1563, il Magnifico Nicolò Fieschi (Flesco o Flesca), presso il detto notaio stipulò altri tre atti notarili. Nel primo, vendette ad Andrea Rosolmini (Rosolminj) di Palermo e dimorante nella cittadina imerese, cantàri 150 caseorum amezatorum, depositati nel pubblico magazzino di Termini, al prezzo di tarì 40 e grana 2 (f. 16r e v). Testimoni all’atto furono i liguri Tommaso (Masio) Rocca, Bartolomeo Imperiali (Impiali) ed il nobile Benedetto Carbone (Carbuni). Da notare che Andrea Rosolmini apparteneva alla omonima casata (detta anche Resolmini) di mercanti e banchieri d’origine pisana (cfr. A. Mango di Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia, 2 voll., Palermo, 1912-15, II, p. 107), attiva a Palermo sin dalla metà del Quattrocento e che, proprio in quel torno di tempo, appare diramata a Termini Imerese, Del resto, già agli inizi del Trecento esistette a Termini una colonia di Pisa, con la chiesa dei SS. Quaranta Martiri di Sebaste, sita nell’area dell’attuale Piazza del Carmelo (cfr. P. Bova – A. Contino, Termini Imerese: l’antica Chiesa madre era dedicata ai “SS. Filippo e Giacomo il Minore” e non a S. Giacomo Maggiore, “Esperonews”, 28 Luglio 2021, on-line su questa testata giornalistica). Il testimone Bartolomeo Imperiali (Impiali), in realtà apparteneva alla famiglia dei Baleano, originaria di Levanto (nella Riviera Ligure di Levante) e trasferitasi a Genova dove successivamente fu ascritta nel 1528 nella consorteria o albergo nobiliare degli Imperiali di cui assunsero il cognome. Un ramo si trapiantò a Termini Imerese dove è documentato attorno alla metà del Cinquecento, con il doppio cognome Imperiali Baleano (cfr. A. Contino – S. Mantia, Vincenzo La Barbera Architetto e Pittore Termitano, Gasm, Termini Imerese 1998, p. 26).
Nel secondo atto, Nicolò Fieschi, per suo nome e per conto del Magnifico Giuseppe Besio, dimorante nella città di Palermo, come da delega in un certo notar Xirunj (di Palermo?), rogata nel precedente anno VI indizione 1562-63, incaricarono Vincenzo Li Maistri di Termini, assente alla stipula, in qualità di loro procuratore, in solidum, di sbrigare i loro affari nella città di Termini e per loca partibus regni Sicilie (cfr. ASPT, atti Notar Tommaso Bertòlo di Termini Imerese, anno indizionale 1562-63, vol. 12954. ff. 17v-18v), Testimoni al rogito, i Magnifici Simone La Rocca e Giacomo Garifo. Da notare che i Besio furono un’antica famiglia mercantile ligure oriunda da Savona, diramatasi a Palermo dove è documentata sin dal Cinquecento.
Nel terzo atto, il Magnifico Nicolò Fieschi (Fiesco) vendette al Magnifico Gerolamo di fu Giovanni de Vecchiano (ms. Aveczano), pisano, salme 100 di frumento da consegnare nel pubblico magazzino di Termini entro gennaio p. v. al prezzo della meta (cfr. ASPT, atti Notar Tommaso Bertòlo di Termini Imerese, anno indizionale 1562-63, vol. 12954. f. 18v). La salma era un’antica misura siciliana, nel caso specifico di capacità per aridi, che ammontava ad ettolitri 2,750888.
Il XXIII settembre (3 ottobre cg) VII indizione 1563, il Magnifico Nicolò Fieschi (Fiesco), stipulò altri due rogiti. Nel primo, nominò due soci, i Magnifici Gerolamo Vivaldi e Gerolamo Pinelli, quali procuratori (come da atto di procura in notar Vincenzo Cottonaro di Palermo) per l’acquisto presso lo zuccheriere (czuccararius) Giovanni Longo, di circa cantàri 60 «di seconda pasta di bianchi di melj bona» al prezzo di onze 6 e tarì 6 ed una seconda partita, di qualità leggermente inferiore, ad onza 4 per singola canna, da consegnare entro 17 giorni dalla data di stipula del rogito (cfr. ASPT, atti Notar Tommaso Bertòlo di Termini Imerese, anno indizionale 1562-63, vol. 12954. ff. 18v-19v). Testimoni: Giovanni Pietro Sans ed il nobile Vincenzo Giamboni.
Il Magnifico Gerolamo Pinelli, con tutta probabilità apparteneva agli Adorno (casata presente a Genova sin dal Duecento) che, essendo confluiti nel 1528 nell’albergo nobiliare dei Pinelli, assunsero il cognome di questa casata. Si trapiantarono a Termini Imerese nella prima metà del Cinquecento, dove infatti sono inizialmente attestati con il doppio cognome Pinelli Adorno [cfr. AME, Battesimi, 1542-48, f. 55r n. 5: 22 febbraio (4 marzo cg) IIIa Indizione 1545, battesimo della Magnifica Minichella figlia del Segreto Bernardino Romano, padrino il Signor Giambattista Pinello Adorno] e, successivamente, soltanto Pinelli. Anche il Magnifico Gerolamo Vivaldi doveva essere di origine ligure, ma allo stato attuale delle ricerche non abbiamo a disposizione ulteriori riscontri documentari.
Nel secondo atto, il Fieschi vendette al Magnifico Giuseppe Costa, anch’egli genovese dimorante in Termini, salme 200 di frumento di buona qualità, della varietà chiamata Maiorca, al prezzo di tarì 15 e grana 14 per ogni singola salma.
Il XXX settembre (10 ottobre cg) VII indizione 1563, l’honorabilis Giovanni Antonio Giallongo, del foro della Santa Inquisizione, attestava che i precitati Magnifici Vivaldi (ms. de Vivarj) e Pinelli, quali soci del magnifico de Fresco procuratorio nomine, secondo quanto asserivano, entro settembre avevano consegnato la quantità di 2 cantàri (di zucchero?) nel castello di Brucato, ad oriente di Termini (cfr. ASPT, atti Notar Tommaso Bertòlo di Termini Imerese, anno indizionale 1562-63, vol. 12954 f. 21).
Due rogiti, datati rispettivamente V (15 cg) Ottobre e VI (16 cg) ottobre 1563, documentano i rapporti commerciali che il Fieschi intratteneva con altri mercanti abitanti nelle Madonie e, nello specifico, a Caltavuturo, nel settore occidentale di questo gruppo montuoso.
Nel primo rogito, un certo Giovanni Lambersa fu Nicolò della terra di Caltavuturo, presente alla stipula, dichiarò di aver venduto al Magnifico Nicolò Fieschi (Flesca), cantàri 30 di cacio da consegnarsi in Termini per prezzo di onze 40 (f. 24). Testimoni: l’honorabilis magister Matteo Di Giovanni, Filippo Romano ed il nobile Giangiacomo La Tegera. Nel secondo atto notarile, gli Honorabiles Vincenzo de Oddo e Giuseppe Lomberso di Caltavuturo, in solidum, si obbligarono con il Magnifico Nicolò Fieschi (Flesca) a fornirgli cantàri 47 di cacio da consegnare entro 15 giorni dall’inizio del mese venturo, franco di ogni dazio, da pagare in base alla meta. Testimoni: il Magnifico Gerolamo Carbone (Carbuni) ed il precitato Honorabilis <magister Matteo> Di Giovanni (f. 36v).
Infine, il VII ottobre (17 cg) VIIa Indizione 1563, il nobile Filippo Giampallari cittadino di Termini propter ductione uxoris ed il Magnifico Nicolò Fieschi (Fresco), stipularono un contratto relativo alla vendita di salme 100 di frumento al prezzo della meta (f. 41v.). Testimoni alla transazione economica furono l’honorabilis Luciano Comella, il Magnifico Giuseppe Petrarugia (Priaruggia), ed il Magnifico Sigismondo Sitayola (Sitajolo, casato di origine pisana). Lo stesso giorno, il Fieschi vendette al detto Magnifico Giuseppe Petrarugia mercator januens dimorante in detta città, salme 100 di frumento al prezzo della meta. Ricordiamo che il detto Giuseppe appartenne alla cospicua casata nobiliare dei Priarùggia o Petrarùgia o Petra Rubra (Pietrarossa), ben radicata a Termini Imerese tra Cinquecento e Seicento (Cfr. P. Bova – A. Contino, Dalla Liguria a Termini Imerese: la casata nobiliare dei Priarùggia tra Cinquecento e Seicento, “Esperonews”, 6 Giugno 2021, in questa testata giornalistica on-line).
Concludendo, i risultati delle nostre ricerche archivistiche permettono di aggiungere nuovi dati sulla multiforme e variegata comunità ligure di Termini Imerese, particolarmente fiorente nel Cinquecento, e sui reciproci rapporti con quella presente a Palermo. Del resto, la cittadina imerese era sede di una fiorente colonia ligure che disponeva sia di un consolato proprio, sia del patronato di una propria cappella sub vocabulo Sancti Georgii Martiris Nationis Januensis, ubicata nella chiesa francescana di S. Maria di Gesù dei padri osservanti [cfr. P. Bova – A. Contino, L’importazione e l’uso dell’ardesia ligure o “pietra di Lavagna” nella Sicilia centro-settentrionale (XVI-XVIII sec.), in G. Marino – R. Termotto, a cura di, Arte e storia delle Madonie Studi per Nico Marino, vol. VI, Associazione Culturale “Nico Marino”, Cefalù 2018, pp. 101-126, in particolare, pp. 112-113]. Gli appartenenti a tale colonia ligure erano particolarmente attivi in una vasta gamma di lucrose transazioni economiche ed alcuni di essi riuscirono ad entrare a far parte del patriziato urbano termitano, soprattutto attraverso un’accorta politica matrimoniale.
Infine, le nostre indagini archivistiche hanno permesso di scoprire un inedito corpus di attestazioni documentarie relative al Magnifico Nicolò Fieschi, abile mercante degens nella Splendidissima nel 1562 e 1563, costituito da una sequela di atti rogati dal locale notaio Tommaso Bertòlo, che ci offrono un inedito spaccato della Termini commerciale del secondo Cinquecento.
Patrizia Bova e Antonio Contino
Ringraziamenti: vogliamo esternare la nostra più sincera gratitudine, per l’essenziale supporto logistico nelle nostre ricerche e per la consueta disponibilità, al direttore ed al personale dell’Archivio di Stato di Palermo – sezione di Termini Imerese. Un ringraziamento particolare va a don Antonio Todaro per averci permesso di effettuare delle ricerche presso l’Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese.
Nella foto: Castello di Torriglia (GE)