«Era notte fonda, ero a letto e stavo per prendere sonno. Mia moglie si era addormentata accanto a me. Mi sembrò che ci fosse un flusso di corrente nella mia testa e rapidamente la sensazione si diffuse in tutto il corpo. Sembrava tutto come al solito. Mentre giacevo, cercando di decidere in quale altro modo potessi analizzare la cosa, mi accadde di pensare come sarebbe stato bello prendere un aliante ed andare a volare, l’indomani ( a quel tempo era il mio hobby). Senza preoccuparmi delle conseguenze, perché ancora ignoravo che ce ne sarebbero state, indugiai sul pensiero piacevole del volo. Dopo un istante mi accorsi di qualcosa che premeva contro la mia spalla. Con vaga curiosità portai la mano verso l’alto ed indietro per sentire di cosa si trattasse. La mano trovò una parete liscia. Mossi la mano quanto me lo permetteva la lunghezza del braccio e la parete continuava, liscia, ininterrotta. Tutti i miei sensi erano vigili: cercai di vedere nella semioscurità. Era un muro e mi appoggiavo al muro con la spalla. Immediatamente dedussi che mi ero addormentato ed ero caduto dal letto. Non mi era mai successo prima, ma stavano accadendo tante cose strane, che cadere dal letto era perfettamente possibile. Guardai ancora. Qualcosa non andava. Questo muro non aveva finestre, non c’erano porte, non c’erano mobili appoggiati. Non era un muro della mia camera da letto. Eppure aveva qualcosa di familiare. Di colpo lo identificai. Non era un muro, era il soffitto. Fluttuavo contro il soffitto, rimbalzando dolcemente ad ogni movimento. Spaventato mi girai all’aria e guardai al di sotto. Nella penombra, sotto di me, c’era il letto. Due persone erano nel letto. A destra mia moglie. Accanto a lei qualcun altro. Tutti e due apparentemente addormentati. che strano sogno, pensai. Era curioso. Chi potevo sognare a letto con mia moglie? Guardai meglio e lo shock fu tremendo. Il “qualcuno” ero io!».
Quella che abbiamo riportato fu la prima esperienza del genere occorsa a Robert Monroe, un brillante uomo d’affari americano che scoprì in maniera piuttosto strana d’essere capace di staccarsi dal proprio corpo. Monroe poteva, cioè, andare da qualche altra parte, lasciando il suo corpo fisico che giaceva sul letto o dove voleva, e «viaggiando » con una sorta di corpo immateriale che sembrava essere il suo corpo, cioè ne aveva tutte le sembianze, anche se logicamente non poteva essere. Che cosa allora si staccava dal corpo fisico di Bob Monroe durante le sue straordinarie esperienze? È qualcosa che sembra essere noto da millenni. Gli esoteristi lo chiamano corpo astrale ed asseriscono che si tratta di un corpo di energia sottile che è intercalato col corpo fisico e che, in certe occasioni, si stacca per andare da qualche parte, fare qualcosa e poi reinserirsi normalmente nel nostro corpo fisico. Questo fenomeno è noto da decenni ai ricercatori psichici, anzi su di esso fu condotta la prima seria ricerca scientifica sui fenomeni psicologici ‘anomali’: molti soggetti asserivano infatti di imbattersi, in modo almeno apparentemente casuale, persone che fisicamente, in quel momento, si trovavano in altri luoghi. Che cosa vedeva questa gente? I ricercatori che se ne occuparono allora coniarono un termine che dà l’esatta impressione del fenomeno: erano i «fantasmi dei viventi». Myers, Gurney e Podmore, tre noti ricercatori inglesi, analizzarono – dopo averli accuratamente raccolti – alcune centinaia di casi.
D’altra parte questo strano fenomeno «bilocativo» è molto noto anche a livelli religiosi e magici. Numerosi santi e profeti hanno posseduto queste capacità (san Giuseppe da Copertino, sant’Alfonso de’ Liguori ed altri) e mirabilie ci vengono anche raccontate da studiosi che sono stati a contatto con maghi e sciamani, i quali sembrano anche essi possedere questa strana capacità. Una delle esperienze più interessanti al riguardo fu quella di cui furono protagonisti padre Trilles ed uno stregone africano di nome Ngema Nzago. Un giorno questi annunciò a Trilles di dover andare ad un incontro sciamanico che si doveva tenere l’indomani. Il convegno si sarebbe tenuto in un luogo che era distante quattro giorni di cammino e a Trilles apparve quindi impossibile che Nzago riuscisse davvero a mettere in atto il suo proposito. Ma lo stregone insisté dicendo che quella sera stessa sarebbe « partito » ed invitando Trilles ad assistere alla partenza. Volendo mettere alla prova quanto Nzago diceva, Trilles gli disse allora di passare da una località posta sulla strada che doveva percorrere per andare al convegno e di avvertire un suo conoscente di recargli alcune cose al villaggio. Nzago accettò e la sera si dispose alla partenza. Dopo avere eseguito delle pratiche magiche, si distese nella sua capanna ed entrò ben presto in uno stato catalettico, assumendo una posizione rigidissima. Trilles vide anche un serpente nero apparire dal nulla ed avvolgerglisi intorno. Poi non avvenne nulla di significativo durante la notte, nel corso della quale Trilles sorvegliò attentamente lo stregone, per vedere se egli lo stesse ingannando in qualche modo. L’indomani Ngema Nzago si svegliò e disse non solo di essere andato al convegno, ma di avere eseguito la sua commissione. In effetti, tre giorni dopo la persona che Trilles aveva mandato a chiamare si presentò puntualmente e gli disse che, nella notte corrispondente a quella del «viaggio», aveva sentito una voce proveniente dall’esterno della sua capanna dirgli di recarsi da lui. Lo stregone aveva « sdoppiato » il proprio corpo? Nella letteratura esoterica è sempre stato presente il concetto di un «secondo corpo » che potrebbe essere il veicolo della coscienza alla morte corporea. Cherles T. Tart, un prestigioso psicologo dell’università di Davis, in California, definì questo fenomeno ‘esperienze fuori dal corpo’, in inglese Out of the Body Experiences, da cui l’acronimo OOBE col quale viene usualmente chiamato. Non solo, però, numerosi soggetti hanno avuto esperienze di questo tipo, ma alcuni – Bob Monroe, ad esempio – hanno anche sviluppato tecniche specifiche per provocare il fenomeno. Partendo da queste acquisizioni alcuni studiosi hanno cercato di trasferire in laboratorio questo inusuale fenomeno, che si colloca in una ‘terra di mezzo’ psicologica fra il normale e il paranormale.
Il «doppio» in laboratorio
Charles T. Tart, compì alcuni esperimenti con un soggetto, chiamato, per garantirne l’anonimato, semplicemente miss Z., che era in grado di produrre spontaneamente OBE con una certa frequenza. Poiché il fenomeno le avveniva sempre durante il sonno, Tart fece dormire miss Z. in un laboratorio psicofisiologico per alcune notti. Z. fu invitata a dormire su un lettino appoggiato ad una parete. Nella parete, poco sopra il lettino, era inserito un ampio vetro a specchio che fungeva da specchio se guardato dall’interno della stanza mentre dalla stanza adiacente fungeva da vetro trasparente che permetteva allo sperimentatore di vedere quello che accadeva nella stanza. Sulla testa di miss Z. era posta una mensolina, a circa due metri di altezza dal pavimento. La donna fu collegata con elettrodi di rivelazione, che permettevano a Tart di registrare tutti gli eventi cerebrali e relativi al sistema nervoso periferico: EEG, elettromiogramma, valori della pressione arteriosa, della resistenza elettrica della pelle, ecc. i cavi che collegavano miss Z. alle apparecchiature poste nella stanza adiacente (nella quale stavano le apparecchiature di rilevamento e di controllo fisiologico) erano sistemati in maniera tale da staccarsi se appena miss Z. tentava di alzarsi dal letto. Altrimenti, non appena ella si fosse addormentata, Tart avrebbe potuto seguire sugli apparecchi quello che le accadeva da un punto di vista fisiologico; se si fosse verificata un’OBE, Tart avrebbe potuto rilevare cosa accadeva da un punto di vista psicofisiologico nell’organismo di miss Z. Per essere maggiormente sicuri che di un’OBE si trattasse, a miss Z. era stato affidato un compito specifico. Tart, usando un procedimento casuale, scrisse un numero di cinque cifre su un foglio di carta, che pose sulla mensolina. Accanto alla mensolina, sulla testa di miss Z., fu posto un orologio. Quando, e se, miss Z. avesse avuto una OBE, avrebbe dovuto sollevarsi (cioè avrebbe dovuto sollevare il suo…doppio), mentre il corpo fisico doveva rimanere a letto, fatto questo facilmente rilevabile con la particolare disposizione degli elettrodi) e guardare il numero sulla mensolina. Questa azione – estremamente facile se l’osservatore era posto all’altezza del soffitto – risultava impossibile per un soggetto in piedi nella stanza o, addirittura, coricato. Miss Z. avrebbe anche potuto guardare l’orologio e vedere a che ora stava avendo una esperienza fuori dal corpo, in modo che si potesse collegare con certezza il suo stato fisiologico all’esperienza soggettiva.
Nel corso di questi esperimenti furono trovate alcune cose interessanti: per esempio che alcune OBE si producevano in concomitanza con un particolare modulo elettroencefalografico di tipo alfoide », molto simile cioè al ritmo ‘alfa’, collegato di norma ad uno stato di rilassamento, che le misurazioni elettrofisiologiche indicavano che l’organismo era in perfetta efficienza. Fu anche visto che una sola volta miss Z. riuscì a vedere il numero e a ricordarlo correttamente. La probabilità che questo potesse accadere per caso era di uno a centomila.
Tart continuò esperimenti simili anche con un altro soggetto, quel tale Robert Monroe che, con le sue personali esperienze, fu in qualche modo responsabile dell’enorme aumento di interesse verso questi studi. Monroe non ottenne, in sede sperimentale, risultati particolarmente degni di nota, ma Tart constatò come esistesse una notevole differenza tra le condizioni fisiologiche che accompagnavano il fenomeno in miss Z. e quelle che lo accompagnavano in Monroe. In sostanza, non si ottenne alcuna prova certa, ma si realizzò un raffinato approccio sperimentale a questi problemi che sembrava non fossero sperimentalmente studiabili.
Volendo comunque dare per scontato, in base alle esperienze soggettive, che esperienze fuori dal corpo avvengono, come si possono spiegare i risultati?
Poniamo che miss Z. avesse indovinato per un certo numero di volte il numero che il professor Tart aveva posto sulla mensola: questo costituisce una prova che l’OBE esiste, che cioè un « secondo corpo » si stacca dal corpo fisico per raggiungere il « bersaglio » di prova? Non è assai più probabile che miss Z. avesse indovinato il numero di cinque cifre semplicemente per caso, o, magari, per una forma di percezione extrasensoriale? La chiaroveggenza è una capacità che si manifesta proprio come percezione di «bersagli » isolati dal punto di vista spaziale.
Si è allora pensato di sistemare dei « bersagli » in maniera tale che essi potessero venire percepiti solo da certe prospettive visuali. È stata per esempio ideata una speciale ruota con all’interno delle immagini che possono essere viste correttamente solo attraverso una speciale finestrella posta nella parte superiore. Per vedere il bersaglio dalla giusta prospettiva occorre porsi fisicamente in una posizione specifica: occorre, cioè, librarsi in aria con un ipotetico secondo corpo. I bersagli ideati dai ricercatori erano tali da dover essere percepiti in maniera differenziata, dipendente dalla prospettiva ottica utilizzata. Implicavano cioè che per essere percepiti in una certa maniera il soggetto si ponesse in una condizione fisica, resa possibile solo dall’OBE. Cioè che « volasse ». Sono stati elaborati molti apparecchi di questo tipo: poiché i soggetti che hanno una OBE si «sdoppiano » ma rimangono perfettamente in uno stato vigile di coscienza, apparentemente normale, e quindi ad essi dovrebbe essere possibile avere questa percezione selettiva del bersaglio. Tra le altre invenzioni c’è una specie di scatolone al cui centro è posto un oggetto collegato con sensori elettronici sensibilissimi. Nel corso dell’esperimento il soggetto deve « sdoppiarsi », tuffarsi all’interno della scatola e fare conseguentemente muovere l’oggetto. I risultati sono stati scadenti, tanto da consentire di affermare che non esiste attualmente una sola prova sperimentale che le OBE esistano davvero, intese nel senso di «sdoppiamento ».
L’unica strategia scientifica per spiegare queste strane esperienze è quella di includerle nel vastissimo capitolo delle allucinazioni. Ma l’allucinazione riguarderebbe il soggetto dell’esperienza, insomma chi pensa di sdoppiarsi. E sin qui ci siamo. Resta da spiegare come mai altre persone, percepiscano l’immagine del corpo di chi si è sdoppiato… Detto in soldoni: il problema non è la mia convinzione di sdoppiarmi e andarmene a svolazzare il giro. Il vero problema sorge se qualcun altro mi vede svolazzare…
Si potrebbe allora ipotizzare, ancora, che esiste nell’uomo un ‘secondo corpo’. distinto dal corpo fisico, ma che di esso ha tutte le sembianze, sebbene sia solo un corpo spirituale, un’anima, insomma, che, anche in vita, di tanto in tanto si stacca temporaneamente dal corpo fisico e che altri riescono a vedere o percepire. E’ quello che suggeriscono le tradizioni esoteriche e gli studi sul paranormale. Per mettere però d’accordo scienza, paranormale ed esoterismo dobbiamo fare un altro volo. Ma stavolta… Pindarico.
Giovanni Iannuzzo